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Kumite
Di corsa,
giù per le scale,
costantemente in ritardo,
verso quello stanzino
in cui si può urlare,
fare gli stupidi
e giocare,
per pochi minuti,
prima di cominciare.
Poi si entra.
Subito un po' più seri
si comincia a correre,
scherzando un po'
con chi non era giù con noi.
I battiti accelerano,
i piedi gelidi si scaldano,
il sangue prende a scorrere
veloce,
forte;
la respirazione aumenta,
chiacchierare non è più così facile.
Si comincia a sudare.
Tutti i muscoli chiamati in causa,
ogni attenzione richiamata dal corpo,
dalla fatica.
Poi ci si ferma.
Un po' di pace,
l'allungamento,
chiacchierando un poco.
Poi,
tutti in fila,
serissimi soldatini,
si fa il saluto.
Nemmeno una mosca ha il coraggio
di rompere il silenzio.
Di nuovo in piedi,
stavolta a coppie,
a fissarci negli occhi
con l'ombra di un sorriso
e la voglia di dimenticare tutto,
tutto ciò che non è l'adesso.
Si inizia.
Giù botte.
E più ne prendiamo
più siamo convinti che star lì
possa servire a qualcosa.
Si rallenta,
ci si scambiano pacche
e battute,
si riprende a scherzare,
mentre ci si rimette in fila.
Attimi di serietà,
di silenzio,
poi si riprendono i discorsi
e gli scherzi.
E una goccia di sudore,
come una lacrima,
mi ricorda che è tutto vero.
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0 recensioni:
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- Davvero grazie mille per tutti i commenti!! ^_^
- Davvero molto interessante. Soprattutto molto originale.
- Che bello trovare qualcuno che sa di cosa parlo!! ^_^
- Hajime, Kumite! Che ricordi che mi hai risvegliato...
- Il concetto lo conosco bene: darsele di santa ragione sul tatami, a volte facendosi anche un po' male, e abbracciarsi alla fine del combattimento chiedendo scusa e rispondendo che no, non ti sei fatto male, anche se hai il labbro che pulsa e vorresti sputare sangue... E combattendo sul tatami ho incontrato davvero molti amici...
Anonimo il 02/08/2010 20:39
Il contatto è spesso una necessità, se di tipo traumatico rende meglio l'anima della persona, senza filtri di cortesia. In passato ho fatto qualcosa di simile, non per troppi anni, ma abbastanza per capire che l'arte marziale non è un 'darsele di santa ragione' e nemmeno un 'io ti spiezzo perché sono macho'. Direi che è una canalizzazione, una disciplina nel disordine tra azione e reazione, un conoscersi per conoscere, e non ultimo un rispetto per noi stessi. Chi hai di fronte è anche tuo avversario, ma non più di quanto lo sia la paura. Magari questo mio approccio è troppo 'filosofico', in barba ai colpi rapidi e le proiezioni eseguite senza pensare. Ma credo che l'allenamento, profondo, e la convinzione, determinata, porti a vedere meno nemici e più persone. Dentro e fuori dal tatami (aspetta, forse l'ho scritto sbagliato. Ma focalizzati sul concetto!
- Massimiliano, pratico questa attività da 11 anni, e credo che tu con poche righe abbia saputo descrivere quello che provo meglio di quanto sia mai riuscita io in tutto questo tempo... In questo testo le chiamo "botte", ma per me il combattimento è un modo anche per conoscere le persone, credo che si capisca molto più di una persona combattendoci cinque minuti che parlandoci un'ora. In più credo che questo tipo di contatto fisico leghi le persone molto più di tante altre cose. Grazie mille per i commenti! ^_^
Anonimo il 02/08/2010 09:39
Uno stanzino fuori dal quotidiano, dove vale solo il presente. Di solito 'le botte' non vengono recepite come senso di libertà, eppure l'arte marziale ha solo bisogno d'essere capita. E credo che quando succede, diventa una sorta di necessità dove scaricare energie, un micromondo condiviso magari con pochi ma comunque sufficienti a creare l'armonia. Qualcosa a cui una volta risaliti gli scalini, e tornati nel mondo piuttosto normale, si ha voglia di dedicare una poesia di riconoscimento
- Grazie! Lo sport è il karate, e kumite è il combattimento...
Anonimo il 22/03/2010 19:07
Bella la descrizione che ne fai di questa attività sportiva!