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Il rifugio del tiranno
È strano,
lo sai?
Quasi irreale.
Osservare te e i tuoi goffi movimenti.
Ora che tutto è finito,
forse tu non sei più quello stesso uomo,
quella medesima persona,
ma è difficile crederlo.
Ancora posso scorgere
l'infinita distesa di aridi
e
mal coltivati campi abbandonati
che ti sei lasciato alle spalle.
Si raccoglie ciò che si semina,
vecchio uomo.
Come ti senti?
Ti guardi dietro e
ti accorgi
che non c'è nessuno?
Stai lì fermo,
solo e inerme, vecchio ed esausto
come una pila scarica.
Vanamente aspetti quel frammento temporale,
e soltanto quando le lancette inarrestabilmente scorrono
ti accorgi allora che questo mai accadrà.
Lo so,
fatichi ad accettarla,
ma è la cruda verità.
Vecchio uomo,
nessuno mai violerà la tua solitudine.
Un triste oblio,
là dietro,
pronto ad accoglierti:
un'ombra invadente,
tediosa,
irritante.
E pensare a quando eri fiero
e
orgoglioso
della tua presunzione,
arroganza,
prevaricazione.
Indifferente e compiaciuto
dinnanzi al male
che infliggevi agli altri.
Tu solo potevi distruggere quel muro
da te stesso costruito,
quella massiccia barriera
in cui eri
volutamente circoscritto.
Potevi essere un'altra persona,
vivere un'altra esistenza,
respirare una differente aria,
infinitamente più fresca,
pura,
buona.
Invece ora stai
in questo squallido tugurio,
infetto e maleodorante,
a contemplare un'eclissi
sofferta,
triste,
inesorabile.
Potevi essere un altro,
ma invece hai deciso di essere
nient'altro che te stesso.
Coraggiosa scelta,
vecchio uomo,
o proprio questa è stata
la tua fatale debolezza?
Difficile accettarsi
per quello che si è.
È lontana ora,
tanto lontana,
l'immagine
di quell'individuo tronfio,
imponente,
invincibile.
Guardandoti
altro non sei
che il ritratto
di un sofferente cane bastonato,
che non ha neanche la forza
per piangere il suo dolore.
Il ritratto
di un individuo impotente
che suscita pena
quasi
compassione.
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