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La casa dei ricordi
Quando ho lasciato la mia casa
mi sono sentito male
come avessi perso un parente caro.
Era la casa dov'ero nato
era lo scrigno dei miei ricordi;
là conservavo i fatti più importanti
della mia infanzia e della mia giovinezza.
Ricordo il lettone matrimoniale
dove dicevano che fossi nato
un caldo giorno di ferragosto.
Sì sono nato il quindici d'agosto,
come Napoleone, sono un leone
ed il mio primo ricordo è il pianto,
il pianto di un bimbo che chiede attenzione,
il pianto che chiede una carezza
e mia madre che tarda a venire
ed io che mi addormento ancora.
E poi il mio ricordo è una culla
con le sbarre alte dai lati
perché non cadessi fuori,
ma io ormai grandicello
mi divertivo a scavalcare le sbarre
e mi buttavo sul lettone
e mi divertivo a saltare,
a tuffarmi e a fare le capriole.
E poi nel cassetto del comodino
avevo tanti bottoni,
mia madre faceva la sarta,
e con i bottoni e le pieghe
delle coperte facevo
praterie e montagne,
canyons ed aridi deserti
e con i bottoni sognavo
indiani e cowboys
che si tendevano agguati
e attacchi alla diligenza
e poi scappavano e si nascondevano
tra le pieghe delle coperte
che odoravano del buon bucato
asciugato al sole.
E poi mi ricordo mio nonno,
mio padre non l'avevo conosciuto
era morto in Russia, congelato;
mio nonno faceva il maniscalco,
era un uomo piccolo e massiccio,
con i muscoli della braccia
molto sviluppati; da bambino
ammiravo la sua muscolatura
che mi dava un senso di forza
e di protezione e sentivo
lui, nella sua fucina attaccata
alla casa, che batteva il martello
sull'incudine per forgiare i ferri
e poi l'odore acre dell'unghia
che bruciava e vedevo le sue mani forti
e laboriose che grattavano via i pezzi
di unghia abbrustolita mentre prendeva
la misura per fissare il ferro
ancora rovente e bruciacchiante.
E il fumo agro e denso invadeva
le mie narici quando il nonno
forgiava i ferri con il fuoco
alimentato dal mantice
e si sprigionavano improvvisi
vapori quando raffreddava i pezzi
bollenti e fusi tanto da sembrare
il dio Vulcano all'opera.
Quando fu vecchio cominciò a bere,
il povero uomo aveva fatto una vita
di sacrifici e di lavoro: aveva allevato
cinque figli da solo perché la nonna
era morta giovane e mia madre
aveva fatto da mamma
alla sorella più giovane
che aveva diciassette anni di meno.
Mio nonno aveva lavorato tanto
per mantenere quei cinque figli
che s'era trovato ad allevare da solo
senza la compagna della vita.
Ed il vino fu la sua ultima consolazione.
Una sera mia madre mi disse:
- Vai a prendere il nonno
all'osteria e portalo a casa. -
Forse avevo otto anni,
portavo i calzoni corti,
era estate, sul far dell'imbrunire.
Il nonno era seduto ad un tavolo
con il bicchiere davanti
che aveva ancora due dita
di vino bianco.
- La mamma ti vuole a casa. -
- Devo finire quel po' di vino. -
- Ti vuole subito a casa. -
- E allora bevilo tu quel vino. -
disse sorridendo.
Io presi il bicchiere e ingurgitai
il vino d'un fiato.
- Adesso andiamo. -
Tornammo a casa tutti e due ubriachi:
io reggevo il nonno ed il nonno reggeva me
ed eravamo felici come due scolaretti
che avessero fatto la loro ultima marachella.
Mia madre si arrabbiò moltissimo.
Un giorno mio nonno si paralizzò
e da lì rimase seduto, tutto il giorno,
alla finestra della sua camera
a guardare la gente che passava
nella strada che fiancheggiava la casa.
Lui sapeva tutto dei vicini,
sapeva quando donna Rosa
andava in chiesa a pregare
per il figlio che lavorava in Germania,
sapeva quando Beppi andava a mungere le vacche,
sapeva quando Menego andava a scuola,
insomma di quella piccola contrada
sapeva e controllava tutto e di tutti
e poi leggeva, leggeva con voracità
quasi volesse recuperare il tempo perduto,
leggeva di tutto: vecchi giornali, romanzi,
libri delle preghiere e di meditazione
anche se non era mai stato un fervente praticante.
Sembrava che cercasse una verità che gli era stata negata.
Un giorno si ammalò gravemente,
me lo ricordo sul letto dell'ospedale
che ansimava e faceva fatica a respirare
e aveva una tosse fastidiosa
che lo tormentava in continuazione.
Mia madre per alleviargli la tosse
aveva comperato un sacchetto
di pastiglie alla menta
ed io qualcuna gliela mettevo in bocca
e qualcun'altra la mangiavo anch'io.
Un giorno disse che voleva mangiare
un bel piatto di pastasciutta al pomodoro.
Mia madre ne preparò una gran fondina
ben condita e con tanto sugo al pomodoro
e alla sera gliela portò all'ospedale.
Lui se la mangiò tutta con grande voracità.
Morì il giorno dopo, forse felice
perché il suo ultimo desiderio
era stato esaudito.
Era morto un vecchio che per tanto tempo
avevo chiamato papà anche se sapevo
che non lo era, perché avevo bisogno
di avere un padre anch'io.
E poi mi ricordo i primi turbamenti,
quando ero in ritardo nel ritornare a casa,
correvo ed ansimavo e provavo un qualcosa
che mi esplodeva dentro le viscere,
un qualcosa che mi piaceva e mi turbava
allo stesso tempo e poi mi trovavo con le mutande
bagnate ma non di pipì, ma di qualcos'altro.
Mia madre mi mandò da un sacerdote
a farmi spiegare che cosa succede
ad un ragazzo da grande.
Non c'erano uomini in casa,
ho dovuto imparare tutto da solo
e ci sono riuscito:
a me piacciono le donne,
sono proprio belle le donne.
Quando ho lasciato casa,
tutti questi ricordi
mi sono venuti alla mente
e tanti altri ancora;
sembra quasi che le cose
posseggano un'anima,
posseggano la nostra storia,
la storia dell'uomo: delle sue emozioni,
dei suoi desideri, delle sue illusioni
e dei suoi dolori; mi sembra proprio
che queste cose inanimate conservino
per sempre la mia storia, la mia vita
impregnata di passioni, di speranze e delusioni.
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0 recensioni:
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Anonimo il 08/07/2010 11:25
Condivido il pensiero, l'opera è emozionante, vera, ricca d'immagini incancellabili... bellissima.
- Di solito non leggo poesie così prolisse, perché noiose, ma questa invece tocca veramente il cuore! Molto bella e sentita, anche se personalmente la sposterei nei racconti brevi. L'immagine di un passato che non c'è più è chiara e lineare, si ha quasi l'impressione di rivivere quei momenti. I miei complimenti. A rileggerla.
- Luciano ho letto avidamente: bellissima!!!
Gia
- ricca di ricordi, bei versi complimenti
Anonimo il 10/05/2010 12:08
Bella poesia, vera, ricca di particolari che commuovono e coinvolgono. Toccanti versi che raccontano la vita che intorno a te è entrata in te facendoti diventare un uomo.
Complimenti!
- una lettura molto bella, in cui con sincerità e con profondità narri di te, senza veli, senza paure, amo le persone sincere perchè lo sono anch'io. Complimenti e... a rileggerti!
- bella lettura davvero. complimenti. ciaociao
Anonimo il 10/05/2010 10:18
Bella e commovente