Rimario non spulciai, musa non consultai
empireo non visitai
eppure allo svettare di un'emozione
sulla scia di un sospiro mi librai;
per ricchezza del cuore,
intenerito da spiragli di ideali
spasimo d'infinito e tristezza sentii;
di sogno in sogno, agognando ritmi e assonanze
il silenzio squarciai della mia vita.
Nella serra fiorente delle parole
quanto vagai per trovare un germoglio
da trapiantare nello sdutto sillabario!
In prestito, a poeti laureati,
l'uso dell'erudito strumento chiesi
per portare alla luce lo sfondo
che appare intorno al mondo:
la trama delle torture e dei lamenti,
degli amori e delle illusioni,
la nascita il vagito e il dissolversi
di accompagnatrici speranze.
Maldestro, senza credenziali,
vagabondando tra dizionari
avido mi mossi tra sempreverdi
significanti acquistando voce e fiato;
sudando recuperai al mio parlare
semi di un sillabico arpeggio.
Iniziato io, atono e afono, mi invaghii
sedotto dalla vanità della parola!
La parola porge spazio,
traccia scie di luci
attraversa, serpeggia, attracca,
fa ressa, indugia smania
schiumando... si dissolve!
Tende, vibra; disperata delira,
larva arrossisce, audace trionfa,
futile si arrende e si esilia;
lampo, miraggio; secca, tumida, cocciuta;
inquieta anela, sgronda e si addensa,
aspettando di uscire dal carapace
si affina nella durata e nel tono: vive!
Domarla domani sarà la mia ventura
non per raccogliere trofei o risonanti lodi,
lusinghe e bolle d'aria per la mente,
ma solo per gustare il dolce sapore
che rimane per aver parlato del cuore
e sconfitto l'insulto profondo
che riceve da oziose anime vuote.
L'udito esperto di voi poeti
non arretri con orrore
dal mio apprendista verseggiare!
Viva e mai perisca
nell'anima mia l'armonia di una fuga,
l'improvvisa emozione raggiante
figlia di sovrumano palpito pregnante,
il raptus alato nato in solitudine
nella gioia suprema di uno svolio.