Varcavo la soglia,
mi bastava seguire il rumore
della tua Necchi.
Eri seduta, piccola, vestivi di nero
il colore del dolore che da sempre
ti era rimasto addosso,
un figlio vent'anni una sera,
una stella caduta dal cielo.
Girava veloce la ruota,
mentre abile infilavi l'ago,
con occhiali spessi per vedere
da vicino e mani consumate
dalla vita e dal lavoro.
Vestivi di nero,
il colore della solitudine,
per questo ti ero diventata amica,
io che non sapevo e non volevo
cucire, solo osservarti e carpire
il tuo segreto, per stare con te.
Parlavi di un passato lontano
e di un futuro troppo vicino,
una vita di ricordi,
quadri appesi alle pareti annerite
dalla muffa, fra polvere e sogni,
dimenticati,
di giorni disordinati
tutti in fila
come fatiche di soldatini,
giocattoli abbandonati.
I fiori di plastica e i ninnoli
nella vecchia credenza,
bomboniere annerite dal tempo,
foto di sposi di morti e di neonati.
Vestivi di nero,
non so quanti anni avessi,
calze di lana e pantofole con la cerniera,
non lo dicevi o forse non lo ricordavi,
ho capito che erano molti
quando, un giorno, non ti ho trovato più.
Amica dei miei diciott'anni,
mi dicevi "ci rivediamo quando saremo più vecchi"
mi è rimasto dentro un rimorso,
non aver appreso il tuo segreto,
ma forse era questo
riuscire ad invecchiare, con umiltà e semplicità
in compagnia della solitudine,
che come amica hai accettato, come
quella canzone... che hai cantato
fino alla fine.