Sulla spianatoia la farina
faceva da cornice
agli occhi gialli delle uova
che la mano impastava veloce
e come bambini ribelli,
cercavano di scappare.
Abili e veloci carezze di mani
che, nel vortice della passione,
diventavano sempre più impetuose
trasformandosi in schiaffi.
La pasta diventava liscia e tonda
veniva sbattuta e poi stesa,
come un pugile al ring.
Il matterello come bacchetta fatata
trasformava la palla di pasta
in una tela sottile, elastica, tonda
e profumata, come una tela di lino.
Dondolava dalla spianatoia,
prima di essere tagliata,
fra nuvole di bianca farina.
Impietoso il coltello veloce la tagliava,
muovendosi abilmente,
come un pianista sui tasti
ed uscivano fuori note, al ritmo
di una danza impressa dal battito
del coltello affilato sulla spianatoia.
Per magia quella tela
si trasformava in stelle filanti
di tagliatelle, in coriandoli di quadrettini,
in tutte le forme più strane.
In grossi quadrati che venivano piegati
e riempiti di carne, i cappelletti,
ma solo per il Natale.
Ma la soddisfazione più grande
era mangiarli da crudi, di nascosto,
nascondendoli dentro il palmo della mano,
sotto il tavolo, fra le gambe
delle sedie e delle persone,
tra le voci del tempo che profumava
di cose sincere e sempre buone
che venivano tuffate in acqua bollente
e condite con la semplicità,
la saggezza, la sapienza
ed i buoni sentimenti.
Il tempo di un tuffo,
in un passato,
già cotto e mangiato...