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A Davide
Io so solo che dovevo dirlo.
Tra le nebbie delle mie illusioni,
tra i fari di fiammiferi, dove la compagnia era di plastica
dove ero ladro d'aria e di sbadigli.
Tra i sentimenti che ci (s)legavano, dove la speranza manovrava i fili degli amori
e strattonava il fondo della giacca, anche se soltanto nei giorni dispari.
Tra lo sconforto dei mesi d'estate
durante le gite nel negozio delle maschere, dove l'unica faccia in vendita era la mia.
D'estate i condizionatori influenzano le scelte
e gli spermatozoi sono in sosta all'autogrill
a raccontare alle nostre ex perché non siamo mai rimasti incinti.
Io so solo che dovevo dirtelo.
Dietro a ogni dubbio di polistirolo, tra i popcorn ingialliti e l'audio sfalsato,
tra la cenere nei posacenere
Tra la polvere delle bottiglie d'annata, quelle più costose di tutte
che imprecano considerazione gridando dalla cantina
perchè tu gli avevi promesso che le avresti aperte nelle occasioni migliori,
parola di lupetto.
Tra la polvere delle bottiglie nei circoli
dove falce-martello-e-litigi fanno da pretesto.
Estraggo il martello dalla cassetta degli attrezzi, quella rossa del garage
e mi prendo a martellate, alla ricerca di quel fottuto chiodo fisso.
E io che ci credevo ancora e che inciampavo
sui gradini di casa sua, sui tappeti della sala - "dove vai Aladino?" -
facendo l'amore con ogni suo sguardo.
Che poi loro cosa potevano saperne?
A spiegartelo con tre parole d'imbarazzo
e un cabaret di paste con le fragole, le tue preferite, per farsi coraggio.
I dolci sono così amari quando si mangiano con rabbia.
Io so solo che volevo dirtelo.
Nelle sere di attesa, perché qualcuno diceva che sarebbe tornata,
prima o poi.
Nelle notti di alcool e vergogna a far rotonde in auto fino a vomitare.
Sembrava lei nella penombra.
Mi son fermato alla stazione a parlare di politica con le locomotive.
E poi i pomeriggi di prato a pisciar fuori confessioni a un platano
che nemmeno riusciva a darti del tu mentre parlava.
Due spine di cactus sotto il divano, una per ogni occhio.
Mai, come in tempi di solitudine, si sperano le intercettazioni telefoniche.
Mi gusto una macedonia con retorica di stagione, ogni attimo è irripetibile.
Le nove e trenta di questa mattina in cui ti scrivo non torneranno mai più.
Sembrava lei nella penombra, invece...
Invece eri tu.
Sì, proprio tu.
Abbiamo supplicato prestiti d'amore, di quelli velocissimi
senza richiesta di buste paga e garanzie.
E non ci sono cazzi amico mio prezioso,
nella vita un evento triste sarà sempre un ricordo triste.
Ed io so solo che (non) potevi dirmelo.
Presto sarò lontano, ci saluteremo scambiandoci gli indirizzi e i cuori
shakerando le mani all'orizzonte.
"Torno subito!", griderò ai miei rimpianti con un biglietto di sola andata.
Poi un giorno tornerò, e tu lo sai, e tu, quel giorno, ci sarai.
Ci racconteremo di tutto quanto (non) è stato
le parole puzzeranno di vecchiaia,
ti bacerò sulle labbra per farti conoscere i sapori del mondo,
chiuderemo entrambi gli occhi e le nostre lacrime
faranno a gara per arrivare prime sull'asfalto.
Torneremo a disegnar spartiti con il rimmel e a stendere canzoni sui balconi.
E giungeremo allo scambio dei regali, scarterai il mio pacchetto con impazienza
con la curiosità natalizia che solo i bambini riescono ad avere,
non ti curerai di conservare nastri e carta intatti
e indosserai il mio sorriso per la gioia di averti ritrovato
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1 recensioni:
- più racconto che poesia, ma piaciue le riflessioni.
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