Questa indegna e solitaria fatiscenza
solinga finezza di ruggine
scheggia di cemento e calce
dalla pioggia fu colta
come gratitudine di anime erranti
le gocce a santificare la sede impudica
d'un relitto a cielo aperto
Ciò che era
ora non è
che manipolazione frenetica
dell'usa e getta
del finto scivolo nell'agio
intingolo di miraggio
sprone al macinar tempo
e macchie di sogni
monossido di luna
Sarebbe ancor dimora cara
quello scheletro di ferraglia
e fuoco a scaldar la pelle
e parola a donar conforto
e silenzi e incomprensioni
e gioie e dolori convessi...
Scorgo montagne d'acciaio alle mie spalle
e maree di magma a susseguirsi
sfacciate alla mia fronte
Centellinare il rispetto al fallimento
d'un riciclo impossibile
al finale smaltimento.