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Poesia d'appendice
Per chi legge
Caro lettore, il titolo lo dice
questa poesia è un romanzo d' appendice;
all'autore non sembra tanto male
e in conclusione c'è anche una morale.
PRIMA PARTE
-La busta azzurrina-
Ieri, rovistando dentro un cassetto,
ch'eran vent'anni che non aprivo più,
ho trovato, proprio nel fondo, laggiù,
una busta macchiata di rossetto.
Una busta azzurrina, ancora chiusa,
con impresse due labbra per suggello,
un indirizzo ch'era ancora quello
della stanza in affitto a Porta Susa.
Bella Torino, quand'ero studente,
città piena di stupende figliole:
si andava al Valentino con il sole,
ci si baciava senza dire niente.
Sembrava d'esser tutti personaggi
di quella canzonetta allora in voga,
che noi, stonando, cantavam con foga
correndo per la via, come selvaggi.
Ora ricordo, la busta è arrivata
quel giorno che facevo le valigie,
con in tasca la laurea: ero felice,
in mezzo all'altre carte l'ho gettata.
L'apro con una certa titubanza
chissà chi l'avrà scritta, ora mi chiedo
leggo quel foglio, poi di colpo siedo
su una seggiola, dentro la mia stanza.
Rileggo ancora, con il cuore in gola:
sul cartoncino, con grafia gentile
vergate da una mano femminile
con nero inchiostro, c'è una frase sola,
solo una frase, ma vale una vita:
"Se mi lasci mi uccido. Margherita"
SECONDA PARTE
-Piemontesina bella-
Entrato per puro caso in merceria
per acquistare un paio di calzini
mi servì lei: due occhi birichini
le labbra rosse, il sorriso... una malia!
L'ebbi in mente per tutta la giornata
alla fine decisi d'aspettare
che il negozio chiudesse, per tentare
di trascorrere insieme la serata.
"Una pizza poi il cinema?" le chiesi
"Ti va? Dimmi di sì! Mi piaci molto."
e intanto la scrutavo dritto in volto:
fu così che ci amammo per tre mesi.
Furon tre mesi di magica follia,
Margherita tutto di sé donava;
ma ahimé tempo arrivò che mi portava
fuori Torino, a riveder casa mia.
L'ultima volta cena in ristorante:
tovaglia bianca, le candele accese,
non certo in trattoria senza pretese,
da dottori si fan le cose in grande!
Margherita assaggiava poco o niente
le chiesi: "perché non mangi, che cos' hai?"
"e me lo chiedi... domani te ne vai...
non ti vedrò mai più!" disse piangente.
"Devo andare, lo sai... devo trovare
un lavoro, farmi una posizione
quando migliorerà la situazione
tornerò qui da te, ci puoi contare."
Tornammo a casa: nella luce scarsa
del suo portone... un bacio, ed è scomparsa.
TERZA PARTE
-Le promesse sono come i sogni: svaniscono all'alba-
Seduto sulla sedia mi arrovello
leggo e rileggo il piccolo foglietto
non so che cosa fare, sì lo ammetto
quella frase mi fulmina il cervello.
Poi ricordo che quando ero studente
avevo un caro amico torinese:
una volta tornato al mio paese
qualche telefonata... poi più niente.
Dentro una vecchia rubrica sdrucita,
dopo tante ricerche alfine trovo
il suo numero, ora lo chiamo e provo
a chiedergli se sa di Margherita.
Il telefono squilla, poi una voce
giovane ed innocente di bambina
"Papà è fuori, però c'è la mammina,
vado a chiamarla" e corre via veloce.
"Pronto, sono la moglie del dottore,
chi parla, cosa debbo riferire?"
"Sono un suo vecchio amico..." riesco a dire,
poi mi fermo, sento che manca il cuore.
"Luigi oggi è di turno in ospedale"
"Non importa... richiamerò domani,
gli dica che..." ma tremano le mani,
riattacco la cornetta; in me prevale
un senso di sollievo: Margherita...
dunque è viva ed ha messo su famiglia,
ha sposato il mio amico ed ha una figlia:
quante sorprese ci serba la vita!
Promesse, minacce, d'amore i lacci:
non c'è nulla che il tempo non discacci.
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