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L'ultima canzone del biondo menestrello
Sfrigola la spiedata sulla brace,
cola il grasso, s'accendono fiammelle,
nella taverna oscura tutto tace,
muta è la gente ad ascoltar le belle
strofe del cantore biondo e gentile:
col liuto s'accompagna e con la voce
narra del tradimento di quel vile
che Orlando fé perir di morte atroce.
Finita è la canzone, morto il prode,
silenziosa e commossa sta la schiera,
quando dal fondo perentorio s'ode:
"Bel menestrello, il conte vuol stasera
sentire le tue storie, su al maniero!
Prendi tosto il liuto e la bisaccia,
t'attende fuori un veloce destriero
e fa che il tuo cantar al conte piaccia!"
Cavalcano il soldato e il menestrello
mentre tramonta rosseggiando il giorno,
sopra una rupe scura sta il castello,
alte e merlate mura tutt'attorno.
Lancia un grido il soldato e la vedetta
lo riconosce e presto a lui risponde,
accorrono soldati e in tutta fretta
cigolando s'abbassa il grande ponte.
Smontano dai cavalli nella corte,
salgono a grandi passi lo scalone,
dinnanzi al giovin schiudonsi le porte
e il menestrello avanza nel salone.
Quivi sta il conte assiso, con al fianco
una fanciulla dai capelli neri:
indossa uno sfarzoso abito bianco
ma tristi sono gli occhi suoi e severi.
Roseo e perfetto l'ovale del viso,
d'ogni grazia e beltade ella è provvista,
ma la giovane ha perso il suo sorriso
e mena un'esistenza grama e trista.
"È stato il malefizio d'una strega,
in spregio a me, che l'avevo scacciata:
questo infelice padre ora ti prega
di ridare il sorriso alla sua amata!"
"Mi chiamano Bertrand il provenzale,
son giunto tra di voi col mio strumento:
ancor pria di salir le vostre scale
sapevo che il mio viaggio è a compimento.
Quand'ero ancor fanciullo una vecchina,
con cui divisi un poco del mio pane,
mi disse del soffrir di una bambina:
Isabeau si chiamava, cui un infame
sortilegio il sorriso avea levato.
Mi predisse che solo una canzone
cantata da un cantore innamorato,
spezzata avrebbe la maledizione."
"Isabeau è la fanciulla che hai di fronte,
canta per lei, sarai ricompensato,
rendila lieta e, sull'onor di conte,
chiedimi ciò che vuoi: ti sarà dato"
"Per anni ho vagato in molti luoghi,
col secco e con la pioggia, sole e vento
molti han sentito il mio cantar, ma pochi
han compensato il cantore. Contento
bensì son io, non v'è ricchezza alcuna
che possa soddisfare la mia brama,
chiedo la mano di Isabeau la bruna:
è lei la fanciulla che il mio cuor ama."
Esita il conte, il viso rabbuiato:
"A un nobil cavalier l'ho già promessa...
- esita ancora, poi tutto d'un fiato -
e sia! Diman mattina, dopo messa,
ci riuniremo qui, con la mia corte.
Ora è già tardi, andiamo nelle stanze:
sii pronto ad affrontare la tua sorte
e bada a non deluder le speranze!"
Notte fonda, silenzioso è il castello,
solo una luce vive ancor se fioca,
nella sua stanza veglia il menestrello,
corre sul foglio la sua penna d'oca.
Lieve si sente un fruscio di piede,
lentamente la porta s'apre e in quella
Isabeau appare e corre dove siede
Bertrand, lo bacia, e a lui così favella:
"Ho sognato di te fin da bambina,
ero certa che un dì t'avrei incontrato,
alfin la mia felicità è vicina:
sappi che se tu m'ami, sei riamato!"
Già fugge la fanciulla di soppiatto,
sospira il menestrel nella sua stanza,
sente il cuore pulsare ancor più ratto,
di conseguir vittoria ha la speranza.
Veglia anche il conte, insonne nel suo letto,
la promessa che fece ognor l'assilla,
non vuole cedere al cantor negletto
Isabeau, ch'è la sua unica pupilla.
Comanda di chiamare il suo scudiero,
giunto che sia, complottan lungamente
un piano scellerato e menzognero,
di chi il richiamo dell'onor non sente.
Il nuovo giorno è giunto, alto è già il volo
delle rondini in cielo, anche il maniero
s'anima, risvegliato dall'assolo
delle trombe, che chiamano l'intero
popol del conte ad ascoltare il canto
del menestrello giunto da lontano.
Nel gran salone, avvolto nel suo manto,
sta il conte, tien la figlia per la mano,
siedono sugli scranni, ad un suo segno
Bertrand il biondo viene fatto entrare.
"Onora dunque questo nostro impegno
lascia che udiamo come sai cantare!"
Inchina leggermente il capo ignudo
il menestrello, e dalla sua bisaccia
prende lentamente il suo dolce liuto,
lo strumento accorda, seria la faccia.
Attorno muta sta la gente, e tesa,
salgono nell'aria le chiare note:
scioglie dolcemente la grave attesa
il canto di Bertrand, che i cuori scuote.
Narra di una leggenda molto antica
di una ninfa che ama un pastorello
ma la gelosa Diana, a lei nemica
fa cadere il garzone in un ruscello.
Dall'alto del suo monte Zeus lo vede,
dalla morte lo salva e lui rivive
trasformato in pesce, e alla ninfa chiede
di gettarsi anche lei giù dalle rive.
Guizzano i due amanti nel profondo:
vivranno assieme tant' anni felici,
nel loro azzurro e liquido mondo
staranno accanto, ormai senza nemici.
Spegnesi l'eco dell'ultime note,
tace Bertrand, il biondo menestrello,
Isabeau piange e si asciuga le gote,
lacrime rigano il volto suo bello.
"Figlia, tu piangi... allora nulla è valso?"
"Sono lacrime di gioia, padre mio -
e asciugando dal viso l'umor salso-
ora ti sorrido e son felice anch'io!"
S'alza in piedi Isabeau, quindi rivolta
alla sua gente che in ansia l'attende
sorride lieta, per mostrar che è sciolta
ogni mestizia e la vita riprende.
Dalla folla si leva un forte grido,
ognuno esulta, dalla gioia avvinto,
nessun s'accorge che un arciere infido
a scoccare la freccia già si è accinto.
Ad un cenno del conte vola il dardo
sibila in aria il messagger di morte,
corre Isabeau verso l'amato bardo,
l'abbraccia ed al suo sen lo stringe forte.
Lacera i due l'orribile saetta
come se fosse un corpo solo unito,
da morte reso comunion perfetta
d' un puro amore, vilmente tradito.
Spaurita sta la folla, poi repente
s'alzano grida fiere di sgomento,
sguaina la spada il conte, ma la gente
avanza minacciosa e in un momento:
le guardie sopraffatte, il vile ucciso,
ardon le prime fiamme, poi un gran fuoco
avvolge tutto. Con la paura in viso
fuggono gli abitanti, con quel poco
che riescono a salvare. Così è la fine.
Della salda rocca cinta e merlata
non restano che poche, arse rovine,
né più quella dimora fu abitata.
Sopra una lastra una man pietosa
ha inciso i loro nomi, con due cuori
intrecciati. Qualche viandante posa
su quella pietra dei semplici fiori.
La memoria del conte sia dannata,
ma imperitura resti la canzone
del menestrello e della sua amata
e a ciascun dia dolcissima emozione!
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