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Eco e tempesta
Vuoto; risuona l'atrio sotto i passi scolpiti,
perduti, muti. Assopiti nel loro risuonare
continuo, incessante; e le parole che perdono
così, vaghe e insensate, si avvinghiano
come possono alle suole di chi passa, e se ne va.
E si fingono d'ombra, si fanno schiacciare,
pur di fuggire da quell'inferno d'oblio.
E la luce, pure, si rifiuta di entrare:
non fugge il chiarore, ma è d'animo buono;
e non s'addentra nel dedalo cupo
per non dar vita alla prole, con la sembianza di ombra
di cui non saprebbe prendersi cura.
Respirano i muri, quel tanto che basta
per temere la morte e restarsene lì;
non è vivo nessuno per sentire le ore
rintoccare identiche ad ogni minuto immobile.
Poi un lampo, di luce uno scoppio!
e una donna compare, di slavina i capelli
che non sanno aspettare e si lasciano dietro
un seno scoperto che palpitando li segue.
I suoi passi serviti sul magma rovente
che non sa se scostarsi o se la vuole toccare;
ed il sangue ribolle, rivolta la terra
e a tratti, si lascia domare dalle nevi taglienti.
Poi l'ibisco si mette a parlare, e le parole
sgorgano imperiose e sperdute,
scrollandosi di dosso quei brandelli d'un mantello rovente.
"Chi sei? tu che avanzi così, senza sentire
ragioni? ed il caldo infuocato, non ti ustiona forse
i palmi dei piedi?" gridò il fiore, con stridula voce.
"Sei così preso dalla tua cecità, che non sai scorgere
oltre le nebbie!" diss'ella, scostando le arie
che impregnavano sporche il suo incedere incerto;
nulla comparve, se non il gelido sguardo
che non seppe trovare le carni che la portavano in giro.
"Cosa sei?" chiese secco il fiore, i cui petali
schioccarono forte nel richiudersi in fretta.
"Non temermi più di quanto io già non mi tema,
potrai non credermi, forse, ma sono una sirena."
"Non so dubitare delle tue belle parole,
in fondo, stai parlando ad un fiore."
Lei rise, d'un soffio irrequieto
che le seppe incrinare quel soffice e terso
contorno, che ne fece sgorgare,
immensa e spaurita, una lacrima piatta;
scoccata senza ritorno in un batter di ciglia
si muta planando in una scaglia;
loquace s'aggrappa ad uno scoglio,
come conchiglia, che non sa far tacere il mare.
Nel suo eco passarono, nel suo canto vivo
due anni, marcati soltanto da una ruga sottile,
dipinta appena e abituata, mai abbastanza
a scagliare lontano quelle squame abbaglianti
e a modellarle la coda con mani sapienti.
"Come vedi non avrei saputo mentirti"
gli disse mentre lui sospirava "Non l'ho mai dubitato."
E in quell'istante senza pensare,
la sua coda svanì, mutandosi in mare.
E apparvero d'incanto, due gambe,
così belle che nessuno l'aveva viste mai.
Il vapore si schiuse, quando le acque impazienti
si sdraiarono sensuali sulla lava bollente;
ed una torre di fuoco estinse le carni evanescenti
del fiore, che vorticò col suo svanire,
attorno all'uomo che aveva liberato.
E gli ci volle un istante, per segnare col fuoco avanzato
la lezione diversa del suo passato;
ed un bacio poi, estinse quell'ultima insaziabile fiamma.
Tremante si alzò, e la prese per mano
mentre ella lasciava fuggire impazzita
la sua macchina intenta a scattare le foto;
bolle di sapone eterne, schizzavano
qua e là, come liberate da una millenaria prigione.
"Cosa sono?" le chiese, tendendo la mano
a sfiorarle; poi eccola che in un frullare di ali,
una gli si posa sul palmo. E spegne col dito, lui,
le labbra focose, che si apprestavano a dargli
chissà quale risposta. Gli si affida la foto,
che senza esitare si stende fiduciosa sulle dita,
ed egli, ne compie il destino: ne fa una carezza
per il muro che spento li era rimasti a guardare,
tutti quegli anni immobile. E d'un tratto trafitto,
inchiodato: ed urla la casa, di quel dolore
che in un istante soltanto ha saputo renderla viva.
Ed urla di intenso piacere, trapassato nel cuore,
mentre si sgretola e assaggia i raggi del sole.
Il buio ritorna, e gli compare dinanzi
come il letto più bello, più madido e pronto
e non aspetta altro che il loro confronto:
non è triste quel buio, d'una notte che ovunque li tocca.
Poi un flash, d'una luce che non aveva mai visto,
una foto sull'orgasmo del muro grida "io esisto!".
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