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Due amanti
Il segreto del corpo nelle tue vesti rinchiudi
invisibile specchio dalla trama di nubi
che avvolgono e svestono di ghiacciata altitudine
il corpo perso nell'abitudine.
Tra le nebbie vanesie, le nebbie smaltate
indomabili appaiono le sue cosce dorate,
che si affacciano al mondo da sotto le gonne
droga fatata per una notte insonne.
Steso al suo fianco parlava dell'oscurità,
non temerla, è la luce dell'eternità:
la notte dei cigni è più melodiosa
più della morte che in pace riposa.
Il calice brinda, tintinna il cristallo,
il vetro in mostra su di un piedistallo
che intreccia due anime, ed i corpi legati
il calice piove i loro corpi bagnati.
Reduce l'onda dei suoi sospiri infiniti
che si abbatte impetuosa sugli scogli appuntiti,
che nasconde vendette nella risacca
e qualcosa di bello lì sotto la giacca.
Schizza la spuma sulle scogliere
che intrise di carne si fanno vedere
tra le vesti, ormai fatte a brandelli
sfilacciate la coprono d'intrecciati capelli.
Le dita li sfogliano, le dita li piegano
le dite ne contano più di quel che credevano;
capelli lasciati dall'angelo in volo
l'amore ed il viaggio lo rendono uomo.
Catene di sole, impregnate di luna
ingenua donna, un po' sprovveduta
avvolgono l'uomo di trecce di luce
poi la donna compare ed il sudore le scuce.
Inginocchiati al trono che urla piacere,
suddito è il re che ti mette a tacere
forse di spada, forse d'amore
quanta libidine che fugge il rumore.
Fa perdere la testa, più d'una pioggia d'assenzio
più di tante parole un solo silenzio
che giace con loro, esausto e bagnato
le carni fremono in un letto sudato.
Scritte nell'anima certe parole,
tatuate sul corpo dalla luce del sole.
Si gusta, il silenzio, che il rumore inghiotte
sono belle di giorno, sono belle di notte.
Si strappa la luna, le vesti di ombra e di bianco
l'eclissi e le nuvole calate su un fianco,
illumina il tempo d'un albero spoglio
mostra il suo seno così piena d'orgoglio.
Svaniscono gli abiti di nubi leggere
il buio è profondo, non ti lascia vedere:
sbatte nel mare le sue vesti bagnate
o sul pavimento dove le ha lasciate.
Le perle che grondano, dai loro corpi stremati
tremano esauste sul loro sorriso,
il sole li guarda e tramuta in leggenda
l'unisono d'anime di questa vicenda.
La ruggine, doma le parole spese
che fanno ansimare, le sue forme scoscese:
cos'è che resta delle tue belle parole
se non il nudo silenzio, che si specchia nel sole.
Cavalli veloci dalle crine di giada
varcano indomiti il cancello di rugiada
che si sveglia, bagnato al mattino:
fugge lungo sue gambe per cambiarsi il destino.
E non svaporare trovando la fine
ma la carne vogliosa dietro le spine;
l'eco del mare, che armato di onde
inghiotte l'odore che da lì si diffonde.
La rugiada che cola, sulle colonne
che si mutano incerte in gambe di donne;
e si schiudono in petali che si vedono appena
intrisi del nettare della luna piena.
Colonne d'Ercole di tenera carne
con Medusa custode, che sola sa cosa farne.
Dedalo immobile, schiavo del serpente,
tradisce la pietra il suo pensiero indecente.
Coperto di sogni dagli alberi spogli
caduti a marcire sui quadrifogli;
vanesio teatrino della follia
impudico palco della malinconia;
aride carni seccate da arsura
bagnate dal nettare della fioritura:
colline calde che brillano d'oro
fiorisce l'alba di un nuovo decoro.
L'ingresso del tempio dal suolo infuocato
si scontra con l'anima d'un labbro ghiacciato
la lingua ribelle che parole non dice
assapora il silenzio di una donna felice.
L'ingresso del tempio è ancora infuocato,
unito per sempre al suo corpo ghiacciato
la lingua ribelle che parole non dice
assapora il silenzio di una donna felice.
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