Nascer in una contrada in bilico su questa vallata,
ove a solcarne i lembi ecco il nostro fiume Vomano,
claudicante ed intento a dar la spallata,
a quegli stretti argini del suo letto canuto, ma invano,
non bastandogli più la via un tempo tracciata,
e verso il mare, morendo a levante alla sua foce tronca, lontano
dal Gran Sasso e dalla sua sorgente incantata...
nascer mia e sorella di tutti, come il rampollo gitano
d'una tribù dall'antico lignaggio, avendo qual unica dimora la brezza di giornata,
chè parermi i suoi gesti fino alla sera il soffio ed il compenso pagano
della sorte, a lei invisa, solita precluderle ogni speranzosa boccata,
se non per aspettarsi ogni giorno lo stesso fiotto quotidiano
di sospiri e paure, a scandirle lì il tempo ad ogni attesa mancata...
nascer più grande del mio amore, eppur eccola già in una vecchia prigione,
senza sbarre, senza guardie, senza padrone,
ove una, sola e corta, la catena a legarla a quello stanzone:
le mani tremanti della madre stringerla alla vita, in ogni stagione,
ed il suo sguardo infermo sorriderle da smorfia stupita, ad ogni emozione,
a cui dinanzi parer ogni mia parola muta e gonfia, se non per darle anch'io una carezza, un abbraccio, un bacione...