Vivo nel ricordo dei giorni
dal sapore di pane e acqua-sale
di uve dolci, rosse come rubini
che adornano fanciulle saracene.
Mio padre aveva una vigna
- dal nome buffo,
che strappava sorrisi -
poco più grande di un lenzuolo di lino,
e ne faceva un vino ambito dagli dei
e dagli artieri che stavano in città.
Era un sovrano, mio padre,
nel suo podere,
con solo sette filari di primitivo,
e a guardia del suo piccolo tesoro
aveva posto,
per sentinella,
un ulivo.
Mia madre si attardava
a raccogliere acini appassiti
che l'indomani
avrebbe imprigionato
in una pagnotta fragrante
dal vago sapore della felicità.
Mi rivedo avanzare, nel sogno ricorrente,
tra i filari roridi di brina,
tra i tràini ed i tini di uve traboccanti,
e voci di donne tra risate e canti.
Ora che il tempo stratifica memorie,
come cortecce che denunciano anni,
ripenso spesso a quel dito di vino
che riscaldava il cuore
e appannava il bicchiere,
come se fossi ancora piccolina
con i miei cari, intorno ad un braciere.