Non odo che silenzio.
Sulle zolle
rosse e umide, affioranti
da questa terra in febbraio,
non sale che il celato bisbiglio
di questa neve
che trasporta fiocchi e ghiaccio.
Non il ciarlare dei mezzi e dei trasporti,
ma il passo sommesso e greve d'una bovina,
ch'ora si spegne in un soffio,
lontano e nuovo,
che conduce al liscio tepore della mungitura.
Ascolta. Nevica
da questo cielo dello stesso candore,
in un addensarsi pigro
che appiana le forme.
Nevica sul fico,
che la salita rinnova nel suo intreccio
di rami senza riposo
attaccati sul vuoto.
Nevica sull'iridescente e fitto nespolo.
Nevica sull'integro ulivo,
che non trema in una nuvola di foglie,
ma langue su un soffio di luccicante cristallo.
Nevica sulla malinconica secchia di rame,
raccolta su un lucente grumo di ghiaccio,
sognando un cono di sole.
Nevica sulla gregge spersa nel margine del bosco,
mossa in una fiumana d'ombre,
su un monotono fumante belare.
La neve cade sule parole umane,
inafferrabili e libere,
che la poesia, m'insegnò,
senza ritegno a consumare
in un sogno lacerante e demente,
sempre sospeso su paesaggi erranti,
che da un'antica inconsapevole mattina,
porto nell'anima.