Vagano nella mente,
non più vissuti,
lontani ricordi,
di un carnevale dei tempi andati.
I contadini in quel periodo facevano festa,
del maiale erano gli ultimi grugniti.
Nella giornata del giovedì grasso
per le campagne mascherati,
giravano giovanottoni,
da pagliacci più o meno vestiti.
Il baldaccio in testa,
così veniva chiamato chi la comitiva primeggiava.
Lo spiedo, di legno, in mano a mo' di lancia,
petto in fuori, passo svelto,
senza un filo di pancia.
Cappello a cono fatto di cartone
simile a quello dell'asino alle elementari.
La maschera, artigianale di circostanza,
bene nascondeva ogni sembianza.
Chi lo seguiva,
il paniere, il sacco o la fisarmonica portava.
D'obbligo era fermarsi ad ogni casolare
tutti insieme,
sempre pronti alla burla ed a ballare.
L'organetto suonava un tango un po' storpiato,
un valzer, dal tempo sorpassato.
Tutti in allegria,
ogni amarezza quel giovedì,
la musica portava via.
Su ogni mensa,
era pronto il vino, il pane ed il salame,
come usanza
e come buona accoglienza.
Lardo, salsicce, uova e grano erano donati,
i danari pochi,
solo sognati.
Al giungere della sera, la festa finiva,
tutti in un casolare riuniti a gozzovigliare.
Quando il sole spuntava
ognuno con i propri pensieri, barcollando,
la strada per la dimora riprendeva.