Fra le pareti del mio silenzio
trascorro i tempo e mi pregiudico.
Aspetto l’avvento della sera
e il tramonto messaggero.
Aspetto la notte, i bagliori del cielo,
come immagini di futuro:
confuse illogiche e disperate,
illeggibili
e certamente malate.
E poi ancora il mattino,
infinite sbronze di cappuccino,
inizi di brioches e
cicchetti d’acqua minerale,
mentre fuori
piove.
Le cunette sono fiumi in piena
che portano via sogni e stagioni,
affogano illusioni in gorghi di fogna.
Per il piacere dei ratti, e poi dei gatti
e di un miliardo di ristoranti cinesi
che ne fanno business e leve sui costi.
Il sole livido, color cimitero,
attraverso le vetrate del bus,
travolge in un attimo ogni pensiero.
Finchè un dito di sole, scappato dal grigio,
come se nulla fosse cambiato,
si posa leggero
come solo un raggio di sole può esser stato,
sull’azzurro circolare e sporgente
delle iridi che riflettono l’anima sua,
nascosta
dall’imenso dei seni.
E anche domani sarà il caso di svegliarsi