poesie » Poesie su olocausto, Shoah, Giorno della memoria » Italia mia
Italia mia
***
Ancora muovo a te il mio spirito
con enfasi d'amore Italia mia,
come le stagioni in cui fanciullo
miravo nel candore i tuoi lidi
modellati da carezze di mare
per far delle tue forme uno stivale
di terre e giardini imperituri.
Sfilavi ai miei occhi infanti
nell'incanto dei tuoi orizzonti,
correndo a piedi nudi sulla riva
con braccia spiegate di gabbiano.
Eri distesa al sole, sposa di luce,
in grazia di bellezza primigenia,
istanza nei germogli d'aprile
per accendere sull'incerto futuro
lavagne diafane di promesse.
Presto ti ammirai per avvenenza,
come donna suadente in acque chiare
irretisce e ammalia di lusinghe,
esortando a destini avventurosi
per i guadi ignoti dei pensieri
o su rotaie di treni emigranti,
muovendo allo sprone la speranza
per ciò che serbava giovinezza.
Prodiga di libertà spandevi l'onda
sino a quei limiti ove le Alpi
oppongono la veste bianca dei monti.
Immemore approdo d'ogni uomo,
che dal misero porto del sud
levava le ali sullo stivale di speranza.
Là, in folta schiera sul molo scarno
erano anche i miei compagni
a stringerci le mani a catena
per non disperderci più di tanto
nel gran salto di quei pochi anni
in terre distanti dai sentimenti,
ma senpre dentro le tue dolci sponde.
Lasciammo il buon pane dei campi,
il sudore nelle rughe dei padri,
l'aratro muto nei solchi fondi
i veli di solitudine delle madri.
La civetta sgomenta sulle torri
s'accorse del vuoto nella piazza
lasciandosi andare al tormento
di quel commiato senza eco di clamori.
Non più vie di giochi ed allegrie,
né odori di case affratellate,
ma lune lontane nei nostri anni,
a dispensare manciate d'acciaio
e malsani respiri d'opifici.
Stanziammo intorno al Po,
presto divenimmo neri di ciminiere,
le nostre tute si fecero lucide
al riflesso dell'indomito metallo,
tutto il cielo di quel fiume padano
era latta smorta ed incolore.
Ora, per quello spirito mai arreso,
di vederti regina d'Europa,
levo più in alto, Italia mia,
lo sguardo in dominio di confini
che uniscono le tue regioni,
per il maggior timore d'altri squarci
al ventre tuo di madre italiana.
Volgo a te l'urto del mio lamento
ramingo all'eco della voce muta.
che si spande dal cuore d'un poeta
e si strugge al tuo corpo franto.
Or se un unico palmo ti stringesse
davvero in girotondo di petali
dalle miti e sicule scogliere
alle vette alpine più altère,
lo sconforto del figlio svanirebbe
sotto il velo sgualcito del cielo,
per aprire al mondo varchi nuovi
di libertà e di gioiosi sospiri,
abbracci d'albe in germogli d'amore,
occhi supini nell'ora della luna
a scrutare meteore di salvezza.
Eppure, Italia mia percossa,
ti attendono giorni di ventura
da uomini che al vezzo di spartire
fomentano indicibile sprezzo,
lacerando in lembi le tue regioni
care all'onda dei tuoi dolci mari,
che mai ebbero dei confini
l'amaro sussulto, spumeggiando liberi
nei moti che li sospingono
a mescolarsi nella bonaccia
oppure nel fragore della tempesta.
Ancor non odi il sibilo funesto
scoccato dal selvatico arciere?
Il dardo oltraggioso che ti frammenta
nel bersaglio nudo dell'indifferenza
nell'indolenza di quei declami
urlati da pionieri sedicenti?
Lì, sul monte, dove nasce il fiume,
s'ergono barricate di nebbia
pretestuose ai venti del sud,
e tu ignara, attendi e non t'avvedi.
Ti scorgo accigliata e piangente,
a capo chino e minata ai fianchi,
dolente al cuore di Roma eletta
ove il battito s'estenua d'ansia,
e si contagia il mio essere
del singulto che lacera il tuo petto.
Sfoglio pagine di storia
e mi stendo falcidiato di livori,
riscopro sangue di mani morenti
levate al vessillo della Patria,
ascolto voci straziate di eroi caduti
riversi sui campi di lotte inneggianti.
Ora, ogni cosa si fonde nella memoria
i tuoi gerani scendono vani sui terrazzi,
a illudere i venti tersi spiegati dei colli
sulla penisola a profondere carezze
senza distinguere le umane trincee,
appianando le cime e la cresta dei marosi.
No, non può cadere il pietoso velo
ad ottenebrare l'inchino del cielo
al tuo magico andare fra le aiole
nei giardini fioriti d'ogni tempo.
No, non posso accettare questi vitupèri,
le profanazioni sul candore della tua pelle
di fiere arcigne e perseveranti a squarciare
la veste di beltà di cui t'involgi.
Un'onda umana d'inaridita stirpe
s'infiltra fra i seni fecondi dei tuoi monti
e ammorba il salto delle tue sorgenti
scendenti a valle in estenuo deviare.
Al crocevia di Roma si sciolgono i nodi,
qui l'onda frantuma le tue auree vesti.
Si riducono in lembi le tue grazie,
voracemente ambite dall'egoismo
di quei tuoi figli volti a volontà di spartire
e rinchiudersi poi, nei recinti dell'odio.
Io voglio uscire dalla mia tana di paura,
offrirti la libertà infinita di poeta,
che ardisce voli ed oltrepassa gli umani limiti,
mentre l'ignominia abbuia il tuo cielo.
E quei giorni lontani che unirono terre divise,
dopo battaglie gloriose e impavide,
condotte allo stremo della lotta,
per un abito italiano e sovrano,
cucito da epiche e patriottiche mani
per acclamarti: "Regina dei fiori",
che domina e si fa pregio dei mari,
d'acque difensive agli assedi,
inclini al trionfo delle appenniniche vette
alte e distese dal nord al sud in agile respiro,
come vedette sicure in eccelse garitte.
Così accadde che per la tua libertà, Italia mia,
il gran gorgo di sangue defluì alle foci,
dai campi cruenti che videro cadere gli eroi,
per anelito d'unione e speranza dei tuoi figli.
Or se il tuo verde e mite mantello, Italia mia,
di giardino eletto e bramato d'Europa
si smaglia e si snatura in questo tempo d'oblio,
subisce l'erpice inesorabile dell'inganno
d'un disegno ingrato che sradica le genti,
anch'io allora vivo l'esilio di straniero
in terra amata ove dimoro, che mai fu mia
per quel neo d'emigrante che m'assilla.
Questa è Roma per me, fonte a cui m'asseto
d'arte e di vita per amor di poesia,
per i luoghi di sacre virtù che il fato le riserba,
e affranca le coscienze a meditare
affinché si rimuovano le vane trincee,
per renderci unico spirito di pace e di forza
e dare testimonianza d'amore illimite al mondo,
per la vita agli uomini d'ogni tempo.
Questa tu sei, Italia mia nei doni dell'arte,
generosa nelle stagioni della mia vita,
essenza di bene caro all'uomo,
stesa nel tuo letto azzurro di mare
per centralità, giorni vissuti nell'eco
cui l'imperio della metropoli non transige
ed espande sino alle remote periferie.
Di te, Madre di dolcezza, non vedo più angeli nell'alto,
né rondini intrecciare voli a San Giusto.
E cosa proferire di quella terra di costa tarantina
che scrisse i miei natali nei giorni di luglio?
Lì, in quel luogo di canti scambievoli graditi a Orazio,
s'accese il tempo mio d'inconsapevole fanciullo, ignaro
alle ambizioni e alle serene attese che maturano
in poche manciate di chicchi d'anni.
Lì, vidi scorrere i giorni eletti ai sogni,
alle schermaglie finte dei giochi nei campi del paese
per il fugare del mio spirito già soggiogato di viaggi,
di treno in treno, sino ad approdare a Roma,
in questo immenso circondario di colli e piane,
palazzi e monumenti in austere cornici,
ove ogni uomo di cuore e di sapienza, l'acclama
con discernimento: 'centro del mondo'.
Sorgi ancora, Italia mia, soleggiata su colline e valli,
rifuggi dall'amara disgregazione,
echeggia il tuo canto d'innata libertà e di ricongiunzione,
riprenditi le vie del fiero portamento
per far salvo lo spirito smarrito d'ogni tuo figlio
erede immiserito d'amor patrio.
Leva l'orgoglio tuo pressato, da rude calpestio,
torna onda spumeggiante tra i popoli,
o mia dolce ed italica fiaba di notti insonni,
che annuvolavi viaggi nella mia mente
d'alunno attonito ai tuoi incantevoli e dolci lidi,
metropoli e province di gloriose cupole,
golfi, porti, gondole, conventi e santuari,
quali simboli d'ineludibile meraviglia.
Si rinnovi la corona di regina onorata
lungo la storia della tua terra,
poiché il volere supremo ti designò confini
taciti all'indivisibile impronta.
Fa che ondeggi perenne il tuo vessillo
dai palazzi del potere agli eroici altari.
Lega ancora allo specchio d'antica beltà
i tuoi aurei e lesi frammenti
graditi al sole, al cielo e agli uomini
che spigolano speranza di pace
oltre ogni vana barriera
per pura fratellanza e in lode a Dio.
12345
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0