Inseguo il tuo viso nella città stanca,
destino che m'abbaglia e castiga
come un segreto che penetra il midollo.
T'avvicini, la dolce rosa della tua bocca
sussurra sbiadite sillabe d'intesa,
radioso sottometti ogni oscurità.
Così richiami il giogo d'un tempo
quando il tuo corpo gridava il mio nome
e il tuo petto, collina di soffice pane,
era guanciale di carni, mio bosco dorato.
Sali le scale, il rumore del tuo passo
fugge incontro agli umori della notte,
s'allontana, poggia su pietre sconosciute.
Così scompari in questo buio,
come polvere dalle ali d'una farfalla.
Dove andrai non è dato sapere,
eppure ti credo nello sprazzo lunare
che accende l'ordito dei portici;
ti vedo nel mormorio della gente,
nell'esile spalla d'un ragazzo
appoggiato ai vetri della sua stanza.
Cerco il tuo riso rivolto al firmamento,
dolce costellazione madreperla;
suono suadente che è dimenticanza
come lontana musica che dilegua,
terra, riva sconosciuta che, beffardo,
ad altri regali nel mio naufragio.