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L'angelo cosmico
Non so se questa primavera possa giovarmi,
quanto il cielo imperi all'osanna delle strie.
Sola è adesso, la rondine peregrina ai miei occhi
che han visto appena dipanarsi lusinga di stagione.
All'universo dei voli appartengono i gabbiani,
alle amiche stelle i sogni luminescenti.
Io li ho raggiunti non come Icaro la chimera,
ma afferrandomi alla rete celeste che li avvolgeva.
Così, volò distante e senz'ali il mio pensiero
fendendo alte cime col petto avvinto dalle piume.
Tanto m'esortò alla vita l'onirico tempo,
da rendere adorno di nuova luce il verde prato.
E alla costanza di viole nate su bordure d'aiole,
s'allietarono le orme a soffici sentieri.
Mirando il creato, l'ardore mi destò dal silenzio dell'amore,
tal che udii il canto dell'acqua sciogliersi nel gelo.
Si temprò la mia vena al fluido d'ogni istante
come arcobaleno s'insinua nel grigio-nero della tempesta.
E un pennello cangevole pinge l'universo
con mano che governa l'immensa tela del pianeta.
Ma la misura dei colori esulta la mia passione
di quel viso che lumeggia nell'aprìco orizzonte.
Lo vedo sovrastare vivo la spuma scintillante,
splendente e aperto al cielo in evaporazioni di mare:
Lo vedo mitigare nubi avverse d'incenso inebriante,
e ascendo, pioniere del sogno, nella miscela inventata.
Fra terra e cielo v'è un'unica fusione di bellezza,
la fulgida apoteòsi degli astri luminosi.
Vano sembrò il ridestarmi sulla rena,
tant'era mia la sua anima sospesa nel basso cielo.
Mi sentii così, fugato nello spirito del suo sguardo,
levato sulle orme del mondo afflitto d'ombre.
Mi rappresi in lei come fa onda su bagnasciuga
nell'attimo che s'assorbe e si prosciuga svanendo.
Dell'amore mi parlò il dolce fiato del firmamento
col suo ventaglio tiepido di carezze fruscianti.
Negli sguardi compiacenti della luna era lei,
che accordava il girotondo di stelle convenute.
Una corona di fiori attorniava i miei fianchi
e i suoi occhi m'inondavano di mare celestino.
Le margherite avevano il sorriso dello sgomento,
e m'ammaliava la brina dissolta dai tepori.
I simboli del giorno divenivano fiammelle notturne,
pur brillanti, al fioco vagheggio di stelle viandanti.
M'assecondò l'accesa speranza d'incoronare
la regina della vita con diadema di luna.
Sciolsero la sua chioma i mille volti delle comete,
parevano sorelle di luce amata e sognata.
Il fumo grigio delle ombre si diradò,
l'arcano d'altre notti si posò sulle case.
La tenerezza delle ore liete si rese velo
di faro vegliante e custode su lindi guanciali.
Altro non era che l'amorevole riguardo d'una fiaba
venuta a posarsi su di me nel gioco fecondo d'amore.
Poi c'incontrammo di buon mattino sulle strade,
nell'azzurro trepido che ancora non sembrava cielo.
Ella aveva gli occhi di notti insonni, non parlava,
ma scrutava oltre il sentiero che portava al cuore.
Mi sembrava splendida alla bruma spersa dai raggi,
m'arrendevo al miraggio di sole con attonito sguardo.
Eppure, in controluce, lento si svelava il desio di lei,
nel fascino tenero di stagione che sorprendeva.
La guardavo con ciglia chiuse per involgermi d'incenso,
tal come fiore si racchiude a sera e si rabbuia d'ali.
Volevo eludere fingendo, l'indomito stupore,
auspicando l'audacia a rivelarsi in uno slancio.
Ma sentii addosso il fremito degli alberi in autunno
mentre si disfano delle fronde e restano spogli.
Mi liberai dei malesseri che freddano i gesti e le parole
e il brivido mutò osando impavido e sicuro al divenire.
Si mossero le mani, strinsero i fianchi morbidi dell'esistenza,
trassero a sé il corpo arreso del tempo a me concesso.
O meraviglia, le dissi, come avanza la tua chioma
ad avvolgermi di profumi e d'inattese letizie.
Quale imperio hai su di me per struggermi sì tanto?
Quale la sorgente viva del tuo caldo afflato?
Svelami la magia, il mistero della vita che si dilunga
e di questo tempo non avrò più alcun lamento.
Eppure, questa solitudine mi spegne e m'ammanta ancora
in delirio bianco nelle notti estenuanti d'ore.
Non ho più tele per dipingere il tuo viso di beltà,
ho solo cornici splendenti che adornano il tuo vegliare.
Oh, angelo di vita disceso più volte a innevarmi
di purezza, poiché t'amo nell'infinita orbita che m'apprende,
Tu, navicella di vita in tremula fiamma,
che avanzi sulla spuma con eterea movenza,
t'appressi a levarmi con brezza vibrante,
schiavo dell'onda placida, incontro alla riva.
Mentre il corpo si ridesta dal sigillo dell'urna,
colma di polvere non dispersa dall'inconscio,
tanto è l'ardore di ricomporre la vita persa
in sembianze d'uomo vivo per mirare le stelle.
E mi trasfondi parole echeggianti, supreme,
e mi conforti in quell'ala sfuggente e sovrastante.
Ora io vivo il vento flebile di forze tra i tuoi capelli,
il canto sottile della tua voce sussurrata fra gli steli.
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