Quand'è che la mia vita
s'è arresa al disincanto?
Al tempo dei palazzi grigi
sorti a coprire gli ampi campi?
... e il ramarro verde perse la sua tana,
... e la mia infanzia svanì dopo l'avvampo,
... e nel cortile smisi di volare coi piccioni.
Per quel lontano amore assurdo e rifiutato,
mela matura, per me che ero desiderio acerbo?
O per quel lutto, nemmeno immaginato,
tempesta nel mare allora calmo
e pena, appena cominciata?
Altri ne sono giunti, decadi del rosario
che il tempo ama sgranare, grano dopo grano.
Per come sono ora?
Per come sono cambiato
o resto ancora troppo uguale?
Per questo mondo ingoiato dal gorgo di clessidra,
sabbia su sabbia inabissata?
Forse deve essere così. Questa è la vita!
Qualcuno me lo aveva anticipato,
poggiandomi la mano sulla testa,
ed io mordevo il freno nei calzoni corti
e tutto mi sembrava spalancato
e non capivo... e lui taceva comprendendo,
il tempo avrebbe poi svelato.
È l'armonia dell'universo buio e inconsistente
dove la legge è nello scorrere incessante
del nulla verso il nulla, dal nero al bianco dei capelli,
spazio concesso tra nascita e morte,
e gli astri sono lumini piccoli e lontani.
Troppo lontani! Sogni del cuore
lì dov'è il solo freddo siderale
e quei chiarori tremolanti, che noi pensiamo roghi grandi,
altro non sono che aneliti perduti, fiacche speranze e niente più.
Ben venga allora il disincanto! Chi se ne frega! Io sono qui!
Nelle mie scarpe, nel fango della strada
e vado calpestando le domande.
Vivo soltanto di presente e non mi aspetto niente!