L'ultime forze Dina raccolse
e dalla cintola un panno colse
sulla testa l'arrotolò con grazia,
gesto involontario di gran perizia,
si inginocchiò un poco china
e sollevò sospirando l'ultima fascina.
Procedeva lenta, tra le spine si impigliava
accecata da un sole rosso che bruciava.
Grondava tutta di acido sudore
ed imprecava, accesa di giovanil furore,
contro Iddio crudele e contro i santi
e li malediceva disperata tutti quanti:
lei vedeva un mondo ingiusto capovolto
ove anche la speranza l'avevan tolto.
Sull'aia l'attendeva il suo padrone
giovan dagli occhi belli un po' guascone
con quel fare sicuro ed elegante
di un giovin signore benestante,
si liberò dell'ingombrante peso
ed il respiro le restò sospeso.
Che fate qui a quest'ora o mio signore?
son venuto qui per te mio bel fiore;
oh no signore mio non mi ingannate
io non sono la ragazza che sognate,
e mentre così umile parlava
un fuoco il viso la avvampava
ed il seno le scolpiva il sudore
e Fano la guardava con ardore,
i loro occhi si incrociarono
e lì sull'erba fredda si amarono,
s'amarono perdutamente
sotto una luna sorridente.
Un nitrito di cavallo li svegliò
e per Dina il suo calvario iniziò.
Fano sola ben presto la lasciò
e Dina il fiore dell'amore si accollò.