Ho gli occhi intinti
in una rabbia che non so intercettare
ma che scalpita per vivere e lacerarmi;
ruvidi afflati di asocialità
si arrampicano vigliacchi sull'anima
quando il fischio d'avvio
dà forma e consistenza alla contesa;
la razionalità
riesce a squarciare un angolo di mente
e a evaporare termina
nel rotolare incerto, aleatorio e beffardo
di un'indifferente sfera di cuoio,
il tifo va a gemere
in un angolo di spalti abbandonato
i suoi occhi si cava per sempre
per non dover vedere
lo scagliare il pallone
nel ventre della porta avversaria
diventare missione di sangue e morte;
lo sport si accartoccia su se stesso
come una ragazza orrendamente stuprata
da membra che odorano soltanto di follia
urlano sguaiati e privi di governo
striscioni che esortano a maledire
a graffiare la pelle intarsiata
dai bagliori di una domenica di festa
che non vivranno tanto a lungo
per percepirsi luce;
rigore, espulsione, punizione
più nulla davvero importa
se per ciò che mai fu partita
una partita ancora rantola morta
tra passioni intrappolate
in un vortice assassino di degenerazioni
e vacui ragli di giornalisti affamati di notizie.
Lo stadio si prostra
ancora una volta profanato
e impreca con un frammento di flebile fiato
contro chi lo volle e pensò
cimitero rassegnato
di lapidi di passioni sportive
che mai si scorsero davvero tali.