Urlano lamiere decomposte
nel cono ingovernabile della storia
portano la voce spezzata
di un volo che si scoprì maledizione.
Arde ancora
nel cielo infiammato di Ustica
l'impronta del velivolo designato
dalla mano accecata dal destino
a divenire creatura inghiottita dall'acqua
di un mare assonnato e indifferente.
Un istante, un istante solo
ruggito di mille ipotesi
lo squarcio assassino di un mig libico
o la scia accoltellante
di un altro aereo avvinto al suo volo
o la serpe in seno
di una bomba velenosamente celata
tra passeggeri festanti e ignari.
Ora non resta che l'ombra
di un cimitero di silenzi e perché
di morti cui ancora
concesso non fu il diritto
di comprendere perché siano state morti.
Accanto
sghignazzante e in soffocabile
il cimitero di verità
ricoperte dal guano ancora sanguinante
di depistaggi,
incarnati in stellette militari
o in pettoruti parlamentari e governanti;
in un angolo
tra scogli che non possono dimenticare
un parente dona le sue lacrime al mare
per farne una rete da pescatore
con cui estrarre l'autentica verità
lasciata tra gli abissi
da onde passeggere
cui Dio non diede il dono della parola
ma la missione di saper parlare.
Guarda
passa un altro aereo
nel cielo rispolverato degli anni
e disegna una traiettoria di due parole:
non dimenticare.