Premesso che da noi, sol chi consente
è fatto talvolta presidente
quello verace, per caso una mattina,
gironzolando, si trovò in cantina.
Assaggia e prova, troppi ne stappò
che poco dopo a terra si trovò.
Ma lui non sviene, lui si riprogramma,
tra angeli e luce che lo infiamma,
tanto che a breve avvertì una voce:
<Cosa ci fa quassù in questa foce?>
<Non mi conosci, io sono il presidente,
chiamami Lui e apri immantinente.>
<Amico sono dolente, lei torna indietro.>
<Non facciamo scherzi caro Pietro,
sbrigati che devo rincasare,
senza me il mondo può crollare.>
<Lei "che se non semina raccoglie"
e in terra può saziar tutte le voglie;
qui non son ricchezze né poteri,
nessun delirio d'ordini o piaceri.>
Al termine "piaceri" il cavaliere
riprese le forze come un granatiere,
si scosse, svegliò, si tolse da supino.
Ricomponendosi pensò a quel cretino
ch'aveva osato di negargli il passo.
Convocò tutti, fece un gran fracasso
e solenne proclamò la decisione:
<Cortigiani, miei prodi attenzione;
all'offesa che lede il vostro onore,
chiunque da oggi se ne muore
scordi per sempre di salire in cielo,
anzi, vi stenda un doveroso velo
e cerchi un modo per tornare in vita
che per chi crede in me sarà infinita.>
Dal convegno salì una gran voce:
<E la sbornia non è poi così feroce
figuriamoci se si fosse ubriacato,
ci avrebbe assolto anche dal peccato?>