Le note si dileguano ribelli
come anguille indiavolate
il pianoforte le insegue
con il fiatone della fantasia
intarsio di fuoco indomabile
che imprigiona sonorità
per farle nitrire d'emozione.
La tromba gioca
con sfuggenti soffi d'aria
come una bambina
che chiedendo alle sue ciocche di capelli
di rivelarle la sua compiuta storia
riesce a catturare il mondo;
tutto è lievità di sonorità
che offre una carrozza di diesis
alle anime rattrappite e impallidite.
Il palco osserva
tra il sorridente e lo sbigottito
lucenti e ricercati ori
tintinnare tra le mani ruvide
d'una signora plaudente
ebbra di borghesia mondana,
mentre l'orchestra rilancia la salita
con passo da consumato ciclista
le armonie si dissetano estasiate
del superbo servirle dei loro demiurghi;
le luci tramortiscono urlanti
un vento dispettoso
che si prende gioco sghignazzante
di fantasie di spartiti indifesi.
È il tocco magico del jazz
quello che chiama le vene per nome
che cesella e compone danze
con l'inafferrabilità del suo incedere;
è la tagliola centripeta del jazz
quella che logora la corsa insanguinata
dei germi del decadentismo e dell'oblio;
è il dimenarsi incatturabile
di un'immortalità che si nasconde
tra arpeggi e accordi.