Amore tanto amato
a te confesso
le pene che mi porto
dentro il core.
Di pudico rossore
il viso chino
umiliato dall’umana miseria
illividito da vigili tormenti.
Voce da amanti confidenti,
mani erranti come in preghiera,
labbra palpitanti da
mistico sgomento.
Ora, senza alcuno turbamento
a te confesso
recondite colpe e notti inquieti,
fremiti che sorgono dall’ardore.
In uno sfinimento e in un torpore
a te rivelo:
l’agonia della carne, la bramosia arcana
sospiri d’estasi e d’amore.
Intinta di dolore
la voce grave e calda
scende a toni bassi
come languida preghiera.
Palpitante e insita di certezza
protendo a te la bianca mano.
A chiedere pietà e perdono.
A offrire il pentimento come dono.