Non c’è cielo
che riesca a specchiarsi
nell’acqua fangosa ove affondano i piedi.
Prone, in file parallele,
avanzano sguazzando,
le mani vescicate ad artigliar le erbacce,
un unico esercito in parata,
impeccabilmente misero.
Nel sole che dardeggia,
fra gli sciami di irritanti moscerini,
ogni tanto s’alza un canto di speranza disperata,
di riscatto di una dignità derisa,
lordata dal sudiciume del denaro
che scorre nelle mani del padrone.
E nel torrido riverbero del meriggio assolato,
denso di umida calura,
s’assopiscono le voci nella fatica
di chi meno ha,
ma più dà.