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Per Giorgio Gaber
Milano,
dolce, indiavolato ansimare
di voci e vite
distese tra le seduzioni dei bastioni
e il sorriso intarsiato nel cielo
dalle matite delle guglie del Duomo
ti ebbi per ardente madre
da quando la mia giovane chitarra
si avvinse alle mie mani
e mi sospinse nel tuo giardino;
fu lei, e lei soltanto
a rivelarmi in una notte
intrisa di poesia e canzone
che avrei potuto cantare la vita
le debolezze e le illusioni
imprigionate in ossa
in cui l'uomo desidera
librarsi oltre l'uomo
fin dove la libertà
sposi davvero la partecipazione;
su quanti palchi
mi ricamai testimone
della lacerazione diluviale
dell'uomo ormai incapace di pensare
della politica ormai orfana
dello slancio fraterno dell'amare
di ideali immacolati
che furono stracciati senza pietà
dal libeccio dell'opportunismo;
e tu, galleria
che protende il suo sguardo di luminarie
sulle farfalle di ineffabile sonorità
del teatro alla Scala
osservi l'affastellarsi scomposto di passi
che custodiscono corse
che nel loro fiato
non serbano neppure il fascino
di una precisa meta;
potrò mai ringraziarti
Madunina
per avere scelto proprio me
per dare dignità di vera
immarcescibile storia
al Cerutti Gino
o al fiero Riccardo
che tutti si beveva al biliardo?
So
che una canzone cambiare non può il mondo
ma credimi,
lo pensai nel profondo
la notte in cui l'umorismo d'evasione
all'orecchio mi sussurrò lento
di volersi mutare in teatro canzone;
Ci potremo ritrovare
persone finalmente consapevoli
di non avere più paura di amare
finchè le corde della chitarra desidereranno
caricare nuovi suoni sulla loro carrozza di legno
e dirigeranno
il confuso dimenarsi del genere umano
verso la sorgente pura di se stessi;
conoscersi per amare
e amare con i proprii pensieri
senza farselo insegnare.
al Riccardo che gioca al biliardo
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