Nessuno t'ebbe detto ch'ero morta,
ma son venuta a dirti come è andata...
Ero convinta di quello che dicevi... e risoluta a fare dietro front:
lascerò la mia casa al mio unico erede, il figlio di mio figlio, che dal cielo,
mi sta dicendo: "Pensa al mio Emanuele..."
Quel giorno la megera, "l'inserviente", come soleva definirsi,
mi colpiva al telefono.
Fu quella l'ultima volta sulla terra...
Sentisti la mia voce, come infranta...
E ci fu un tonfo; non ti sei sbagliata.
M'ebbero imbavagliata:
e, adesso scrivi: "Lascio le mie sostanze..."
Riuscii divincolandomi...
Lanciai l'ultimo grido: "Vi maledico!"
Rimasi in quella casa, tutta l'estate,
innanzi alla mia salma;
sentii la maledetta, venire ancora.
Non ti angustiare; non potrai parlarle...
E sappia quella saccente, che non si parla ai morti.
Non ti far scrupolo...
Non potrai parlarle...
La petulante sappia che il morto non risponde.
La storia non finisce; non c'è un capitolo chiuso:
ci leveremo dalle nostre ceneri, per raccontare...
Siamo i cinque superstiti di una strage di menti,
perpetrata tra Biella e Velletri, e ormai famosa.
Mia dolce zia, che dopo i genitori,
fosti l'unico battito...
Ricorderò quel tremito, nella voce sottile,
quand'è che ti dicevo: "Non ho che Te."
Mi stringevi al tuo cuore e mi donavi il desiato bacio, tutte le sere...
Malgrado le percosse...
Non riuscivo a capire...
Poi... Ci fu il vuoto...
Ma venivi tu stessa ad informarmi.
Alle denunce, al mio dolore immane,
non rispose nessuno.
Al più vicino ed ultimo, dei miei falsi parenti...
Domandavo, tremante: "Ma dimmi qualche cosa... Cosa pensi?"
Mi rispose affannato: "Io non penso."
Mi dissi: "Siamo alla fine."
Eppure tutti gli anni... A Natale... Alle feste comandate, aspettavano tutti il regalino.
Nessun tremito d'ali...
Come non fossi passata...
È il 25 dicembre:
sprofondo nel dolore inginocchiata.
Guardo i tuoi occhi; sento la tua voce:
mi stai dicendo: "Il tempo degli zombi, volge alla fine."