Ti salutano festanti,
un po' disorientate,
immergendosi beata piccolezza
negli intarsi della tua maestà,
del tuo grembo silente eppur così suggestivo,
di montagna ammantata
di un bianco in cui respira,
la firma rinfrescante dell'eterno.
Le nostre gambe si scoprono leggere,
nel raggiungerti
fulgore d'anima antico
eppur sempre inesplorato,
mentre amoreggi con l'ennesimo figlio
che il sole ti ha adagiato sulla pelle.
Ta pum, ta pum, ta pum
solo tu, cima che mi rapisci i respiri,
conosci il segreto che porta a custodire
come indimenticabili scintille di roccia
vergine e inviolabile,
il sangue innocente dei nostri fratelli,
che la loro vita misero in gioco,
indomiti e con pochi anni ancora raccolti,
nella bisaccia dei loro sogni,
coperti dalle loro scintillanti penne nere,
perchè i giovani sapessero cantare
il loro inno di libertà al futuro;
avanti, una nuova scalata,
le picozze sono fumanti,
gli scarponi profumano
di un eccitante ardore di passi,
l'uomo si conquista nuovo uomo,
laddove l'abbraccio etereo,
di inconsuete e ancora mai battute altitudini,
gli mostra che la sua paura,
altro non è
che la scia di un dono divino,
che gli insegna a lasciarsi sedurre
dal desiderio di scoprire.
O Piave,
che bagni il letto iridescente del tuo scorrere,
mormorando di vite bambine,
che nel nostro saperle ricordare,
scopriranno di non avere mai fine,
lascia che ti incendino di dolcezza
gli intarsi di questi nostri cori,
mentre sussurriamo a una nuova baita,
il sogno di poter danzare
con il suo inscalfibile tepore.
E l'eco ricama sempre un suono,
un canto che si staglia sui monti,
"amore, devo andare alla guerra,
prega che Dio me conceda de tornar,
speteme che te voio maritar e per sempre amar,
il tuo sorriso g'ha il sapore del buon vino,
e mi con te mi scopro sempre la tenerezza del bambino;
amore,
quando sarai stasera sul ponte de Bassano,
afferra forte un sofio de vento,
e sentirai che trasporta la mia mano,
promessa d'eterno idillio,
luminosa e lieve,
come una spiga de grano".