Carissimo Amore mio,
ora che non ci sei ti voglio dire amore,
questa parola così usata, abusata,
scontata, ripudiata, respinta.
Io, qualche volta, l'ho sentita salire
lungo il tunnel del cuore, arrivare
sull'orlo delle labbra, come sull'orlo
di un pozzo profondo, e lì sentire
presto la vanità della parola,
la sua inutilità, la sua importanza.
Ed ho taciuto.
Altre volte, guardando la ruga
precoce della fronte, lunga e profonda
come una ferita, avrei voluto passare
lieve su di essa la mia mano, come
si fa con l'abito sgualcito e la sua piega.
Alla punta delle dita avrei voluto affidare
la parola "amore", ma il gesto incompiuto
s'innalza come un muro,
un aborto di sorriso.
Ed ho taciuto.
Quella volta, ricordi; quella rara volta
che ti vidi brillare negli occhi
una lacrima cocente come l'oro fuso,
e battesti, muto, il pugno sulla tavola,
senza un urlo, un fremito, una bestemmia,
mi corse come un'ala di rondine la parola
amore, nei cieli solidali del mio animo,
ma il volo si fermò sulla tua piega amara,
e ancora non la dissi.
Ma stanotte, che mi manchi,
e mi manca la tua persona amata
il tuo essere uomo, il mio compagno,
stasera che mi sento naufragare
e i tuoni del silenzio sono più forti e cupi
stasera ti chiamo "amore, amore" anzi lo grido,
Amore!