Si prostra agli dei
a mendicare rilucente rinascita
l'impronta intangibile ed eburnea
del fiero discobolo;
Fidia
come demiurgo paziente e indomito,
risuscita da cavità di storia ionica
cui la storia non permise di marcire,
l'ombra di forme ancestrali,
si ricompone raggiante
in un basaltico Partenone,
che sorride, oggi come allora,
su Atene figlia e madre,
e custodisce lo sguardo della dea Atena
gravido delle preghiere di secoli;
sale da una collina
ribollente di maestosi ulivi,
il passo color fatica e sudore,
di nascenti fasti olimpici,
mentre fiero e superbo Pericle assiste
una città desiderosa
di raccordare per sempre i suoi giorni
all'infinito dell'urano;
sgorga accecante
da fregi e frontoni,
tra intarsi bellicosi
di centauri e lapiti,
una bellezza ellenica
di soave e seducente vanità,
matrone in atto di preghiera,
si insinuano riverenti,
fino alle labbra del pronaos,
che racchiudono focose,
il tempio della suprema adorazione;
colora un frammento d'aria ribelle,
la strofa d'un canto mite:
"Grecia, Grecia
figlia di mille miti e del glorioso Omero,
a te ci inchiniamo,
come primigenia culla,
dell'arte e del pensiero".
Ma ora Atene, dimmi,
dove ti stai dirigendo?
Sanguinante ed esanime ti ritroverai,
tra le spire dei tuoi debiti e dei tuoi guai,
o stai cercando, ferita e dolorante,
il profumo della tua storia sempiterna e luccicante?
Guardati,
il tuo cuore è quella piazza,
che non vuole vederti morire,
la carezza di quel mare
che bacia gemente il Peloponneso,
e ti regala radiosa
il fruscio dei dialoghi platonici,
idee ancelle di una sola idea,
rinascere facendosi beffe
degli strali del mercato,
e ricondurre l'umanità,
a dove l'uomo è davvero nato.
Ellade,
sarai di nuovo una matrona scalpitante,
riverita a Ponente e a Levante,
e ti riscoprirai finalmente dea,
dopo aver attraversato la tua Odissea.