Bastò il fragore vigliacco,
di una cellula stridula
sfuggita
allo spartito melodioso della natura
perchè la conca dorata
delle tue membra scalpitanti
intrise di gioiosa adolescenza,
profanata fosse per sempre,
da una voce cavernosa
che violentava maledetta
la stanza di coriandoli della tua luce,
con graffi impazziti di buio.
Dire non so,
se tu potuto abbia scorgerti uomo
nella proiezione dei tuoi sogni innocenti,
non mi sorreggono parole, credimi,
perch'io possa prendere a sassate
con l'esercito impotente dei miei umani perchè,
quel destino
che sincronizzò la tua ora conclusiva,
quand'ancora dimoravi
nell'impronta di un acerbo fanciullo;
in quella bara in cui per sempre ora riposi,
lo sai,
custodirai il pianto di quel respiro
che avrei desiderato donarti
e mai riuscirò a donare ad alcuno;
ora Dio ti spiegherà,
perchè il nostro gemere
sull'estrema, lacerante,
inspiegabile dipartita,
incapace sia destinato a essere,
di diventare linfa di rigenerante vita,
per chi si appresta a lasciarci.
Sette anni, sì,
sono maledettamente pochi,
per riuscire a giocare
al grande gioco del mondo,
scorgermi vorrei tanto
magia di pioggia purissima,
per essere il demiurgo che risusciti,
il tuo piccolo, martoriato fiore.
Ti penso ora esile rosa,
che dirige l'orchestra di zucchero delle nuvole,
ti penso scintillante bicicletta,
che ci insegna a correre verso il mare,
dell'umana, imperitura concordia,
ti immagino disegno di rondine,
che si posa sulle spalle dei nostri voli,
perchè il nostro dolore
sappia parlare al tuo ricordo,
e farsi per te,
la vita che non potesti essere.
Piccolo Riccardo,
il morbo che mai sa perdonare,
ti ha condotto via,
tutto ciò che so donarti,
è la lacerazione del mio pianto,
che forse vanamente,
tenta di farsi poesia.