Il cielo di febbraio,
si riscopre orgoglioso pescatore,
di melodie accese
dalla lucerna gravida della fantasia,
in questa Sanremo incantata
che profuma di seduzioni
di serre e di mare;
sfilano fasci di note
inesplorate sonorità,
dinanzi allo sguardo d'acciaio,
di signore impellicciate,
e severi dirigenti,
ma loro guardano più in là,
a sfilare nel cuore
di chi saprà ascoltare,
quei sussulti di onirica creatività,
che percorrono vecchi, indomiti carrugi,
tra lo scintillare del Casinò
e lo sciabordare d'applausi dell'Ariston.
Sul palco, ancora una volta,
vedrete quella parte di me
che la musica ha inteso rapire
e farne forma soltanto per sè,
ascolta, orchestra ribollente,
la mia voce che intende esserti sposa,
ingaggiando un duello di zucchero,
con l'incedere impietoso del tempo;
il microfono
è un piccolo scrigno di riverberi,
che custodirà sempiterno,
le sfuggenti emozioni e paure,
che mi chiese in strenna;
quanta pioggia custodita da anni,
questo cielo festivaliero,
raccontato ha e ancora ha da raccontare,
Papaveri e Papere
che hanno avvolto sorrisi
nell'eterna carezza della salsedine,
o l'ultimo, tragico segno
del vivere con il desiderio di annientarsi,
del povero, solitario
talentuoso, dolcissimo Luigi;
oggi che porti gli occhiali spessi,
chè gli anni anche per te son scivolati,
caro, immarcescibile Festival,
daga fiera sii contro i felloni
che desiderano fenderti il cuore,
con il loro protagonismo di cartone,
e torna a fare urlare
soltanto le tue canzoni.
E ancora volerà felice e dorata,
la colomba dell'elegante Nilla,
e Adriano non ci rintontirà,
con il suo scialbo, incoerente predicare
ma tornerà soltanto a cantare,
con l'anima semplice
del ragazzo della via Gluck.
Sanremo, chissà se ti saprai inventare,
nuova canzone da sognare e ricordare,
mi troverai, se lo vorrai,
rintanato in un cantuccio,
ad ascoltare lacrime agli occhi,
la voce immortale del reuccio.