Che angelo, questo torchio
che si muove al sapore di una preghiera,
e solletica compiacente
la laboriosità infuocata delle mie mani
dai primi sbadigli di risveglio del mattino
alla carezza discreta delle lucerne
che si stendono a tappeto sulla sera;
la vita procede
con un continuo, incessante stampare,
tra il sussurro complice
di questi caratteri mobili
che fissano nell'eternità
ciò che la storia voleva soltanto
sfuggente, inconservabile realtà.
Mi vedi, Magonza cara
che mi fosti tenera, silenziosa culla,
dovetti lasciarti,
ma fu poi dolcissimo il ritrovarti
per dirti con il mio più profondo angolo di cuore,
che continuavo davvero ad amarti;
lo so,
i nostri occhi luccicarono insieme,
quando Dio donò alle mie mani,
il potere soave e inatteso,
di far germogliare la stampa
di una Bibbia a quarantadue linee;
urlava ieri e urlerà sempre
forte e rigogliosa la mia emozione,
più in alto di qualunque tentativo
di avidi, cosiddetti imprenditori,
di fare tintinnare il loro insano desiderio di denaro,
sui miei sforzi e sulla mia invenzione;
Strasburgo,
che materna mi spalancasti le braccia,
sappi che ti osservo e proteggo
con le lacrime dorate,
il mio grazie per te,
il mio sentirmi onorato,
per la statua grandiosa,
che al mio povero lavoro hai dedicato.
A te, lettore di ogni tempo
chiedo questo soltanto,
a volte, quando cambi pagina al tuo libro,
volgi lo sguardo al firmamento,
scorgerai la mia stella che sorride,
con sempiterna, immarcescibile frescura,
nel pensiero di averti potuto donare,
un modo per consentirti la lettura.
No, non è protagonismo,
è solo supremo appagamento
per una vita che vissi,
nel segno del lavoro come sentimento.