Si intarsiano
come file di cavalli immobili
tombe che ora sfavillano
di esuberante arte funeraria
ora di timida umiltà sepolcrale;
ogni passo
parla con la luce discreta di un lumino,
e il pavoneggiarsi al sole
che si alterna come umore cangiante di stagioni
al disegnarsi della tristezza
di un mazzo di crisantemi.
L'occhio chiede alle lacrime
di perdersi
come parole di cui si vuol soffocare il senso
nei pozzi artesiani color oscurità
di assopite iridi
e di poter adempiere silente
la missione di leggere
tra foto incrociate di sfuggita,
desideri e sogni
saliti sul cocchio di una scia di cielo
ma poi infranti nel decomporsi prematuro
di un'età che li consegnò
alla ragnatela indifferente dell'oltretomba.
Si compone lenta e gementela
la processione avvolgente degli epitaffi,
"i tuoi cari,
tu ti sei spento alla vita,
ma ti sei illuminato nell'eternità,
regalami un sorriso tu che passi,
il giorno mi ha portato rubandoti a me,
l'ombra di un pianto che non saprò tramortire".
Insiemi di cellule,
che non compresero il grande gioco della vita,
e cellule che si illusero di comprenderlo,
germogli presto appassiti di scienza,
e voli ebbri di futuro,
stritolati da lamiere di moto,
tutti giacciono in armonica,
democratica fila,
"a' morte è na livella"
sibila la voce di Totò
dalla nuvola che ne è custode,
sempre una, sempre misteriosa,
sempre quella,
in fondo vita,
che inconsapevole si tuffa,
nella piscina di viole d'un'altra vita;
ricordi corrono a raggiungerci,
nel nostro mesto incedere,
tra viali lapidei,
per urlare che
oltre gli angusti confini dell'urna sepolcrale,
ci attende chi davvero amammo,
per un eterno, scintillante Natale.