Fu un brulicante frammento di cosmo,
a chiedere soave alle nostre anime,
di essere idillio
in quell'eternamente violabile orizzonte
che nome ha ricerca scientifica.
Fummo amanti nei reconditi abissi del cuore,
certo,
ma ci adorammo prima nella curiosità,
di togliere il velo di seducente mistero,
di quest'effervescente radioattività;
quanto vi fu del nostro timido cuore,
in raggi vividi
e desiderosi di essere afferrati per sempre
di maiuscola fluorescenza,
atomi che ci danzavano nelle menti,
come ballerini ansiosi
di essere ammirati e accarezzati,
sul palco del nostro laboratorio;
ricordi Pierre,
i primi passi alla Sorbona,
rimembri il luccicare del tuo sguardo,
all'osservare le reazioni dei cristalli,
e io,
con la mia piccola valigia di sogni
e di lacrime dedicate alla mia terra di Polonia?
Già, quella Polonia
che mi fu culla e scienza,
brilla nelle mie notti parigine,
e nel tremore eccitato
di quel polonio radioattivo,
che scelse di visitare proprio i miei pensieri;
guarda la stella che mi accoglie,
illustre, orgoglioso medico,
ti racconterà che in quei raggi
di cui oggi sovrano ti servi
per le tue preziose terapie palliative,
respirano anche le fatiche che feci e facemmo;
Pierre mio,
avrei voluto poter fermare
con la sola consistenza del mio appartenerti,
quella maledetta ruota di calesse,
che recise vigliacca i tuoi respiri;
guardali, i nostri Nobel
ci dicono che non abbiamo vissuto vanamente,
che il nostro amore per l'inesplorato,
è diventato amore vero per la gente.