Dipinsi la tua nascita, sai,
non potrai mai saperlo,
nella mia mente,
nel mio cuore
desideroso di sfidare per sfidarsi,
ancor prima che nelle tue spesse
orgogliose mura;
anche se parola non possiedi,
tu soltanto saresti penna fedele,
per affidare a respiri di scrittura,
il sorriso per avermi visto operaio,
e poi averti fatta esistere,
tra notti orfane di sonno,
e mille latte di carne in scatola,
tra la famiglia che dovetti ignorare,
e licenze da dover conquistare;
perchè, ora, azienda mia,
dimmi,
sul tuo cancello appendere posso
solo la scia scomposta
diluviale e irrefrenabile,
delle mie lacrime
e della maledizione di dover lacerare il cuore,
di chi tenevo felice nel mio libro paga,
perchè devo dire alle loro famiglie,
che la loro casa rischia d'essere la strada?
Odi i martelli che tacciono,
gli altoforni che singhiozzano,
odi le presse ansimare,
e i torni maledire
la loro forzata inattività?
Ecco,
avanzano impietosi e carnefici,
i ricordi di quei tempi lontani,
in cui mai il pensiero mi trafisse,
che sarebbero stati sacrifici vani.
Dio, perdonami,
forza non ha
la mia vita che credevo indomita,
di invocare la tua religione,
una corda è pronta all'orizzonte,
e sola attende il compiersi,
dell'agghiacciante cerimonia,
della mia impiccagione.
Figlia e moglie, tanto vi ho amato,
cari dipendenti,
in me morde il rimorso,
di non avervi potuto aiutare,
chè la dignità e la fedeltà.
con cui sempre mi assisteste e seguiste
è il miglior inno che si possa cantare,
alla vera idea del lavorare.
E a chi desiderio abbia nel profondo,
di vestire i panni dell'imprenditore,
abbia nel mio folle eppure seducente fuggire
l'augurio di trovare un domani
la scia d'un avvenire migliore.