Disteso sotto un portico di Roma
un vagabondo.
Fermo, immobile,
sdraiato di fianco ad un portone.
Dorme.
O forse no.
Semplicemente fermo,
inerte,
disarmato dalla sua vita,
dalla nostra vita.
Disteso sotto un portico di Roma
un vagabondo.
Non chiede elemosina,
sa di non riceverne.
Non piange,
sa che per lui non c'è compassione.
Non saluta,
sa di non esser ricambiato.
Disteso sotto un portico di Roma
un vagabondo.
Semplicemente chiude gli occhi,
per non vedere il suo mondo,
il nostro mondo.
Per immaginarsi in piedi,
per una volta.
Per immaginarsi vestito,
qualche volta.
Per immaginarsi sazio,
magari.
Semplicemente chiude gli occhi
e prova ad immaginare cosa sia la felicità.
Disteso sotto un portico di Roma
un giorno un vagabondo.
Zuppo in un giorno di pioggia.
Umido, arrotolato,
come vischio,
che senza una parola,
senza un sussurro,
aspetta di essere estirpato.
Disteso sotto un portico di Roma
un giorno non più il vagabondo.
Scomparso.
Svanito nel sole di marzo.
Senza un "perché".
Senza un "quando".
Semplicemente come polvere
portata via dal vento.