Natale entra nelle case vestito a festa, luccicante di lamè, riempie le stanze di pacchi opulenti e colorati, porta abbondanza di cibo elaborato, poi, per paura di ostentare troppo suona una musica melodiosa e fa scendere fiocchi di neve per nascondere eccessi di fasto.
Marco scarta con frenesia l’ultimo gioco tecnologico che userà solo questa sera per poi metterlo in un angolo; i suoi genitori andranno in qualche isola esotica per calarsi meglio nell’atmosfera natalizia; la tombola che il nonno organizza tutti gli anni quest’anno è stata sostituita dai giochi al computer; Maria porta con eleganza un vestito firmato e deve fare attenzione a non macchiarlo quando stapperà lo spumante; la mamma ha speso tutti i soldi per il menù delle feste pur sapendo quanto ne andrà avanzato.
Sul tavolo i piatti si riempiono e si svuotono tra le risate e i brindisi e, nel gridare “Buon Natale” col calice in mano, nessuno si accorge che Natale è rimasto fuori dalla porta.
A Tenejapa, in Messico, Ramón gioca nel cortile polveroso con una palla ormai sgonfia, la rincorre, dà forti calci e coinvolge i suoi fratelli. La mamma prepara un impasto di acqua, farina e spezie e poiché è Natale ci sarà anche il dolce fatto col cocco. Papà non sarà con loro quest’anno, è stato ucciso mentre faceva la rivoluzione per farsi ridare la terra e il lavoro.
La loro è una vita segnata da crepe e ferite, sudata per la fatica, eppure la percorrono con la speranza che ha Ramón mentre calcia la palla.
E io vivo per evitarei Natali crudeli come questi nel mondo.