Forza,
anima indiavolata e insuperbita di deejay,
fai rantolare tra le due dita
di ritmo tremante e frastagliato,
una nuova musica che mi possa proiettare
estensione sfrenata di ballo
al servizio di uno sballo
che odori dell'oblio del cadavere
di un banale, inconcludente quotidiano.
Il tuo piatto ride,
sghighazza, affonda la lama di note impietose,
mentre il buio diventa tradimento,
celandosi nella complicità di luci ballerine,
l'ecstasy sta per accedere
indisturbato e irriverente
al palco incustodito delle mie insicurezze,
una mano color sangue
scopre il segreto
di quell'ubriacante ipnotizzarmi
e viola i confini intimiditi delle mie labbra,
poi ritorna nella tana sfuggente dell'oscurità,
come una vipera che adempiere ha saputo,
la sua lacerante missione di mordere.
Tutto è un fibrillare di passi
scomposti e aritmici,
orfani talora,
di compiute, sicure aritmetiche musicali.
Nessun bagliore nel locale,
si divincola dalla massa informe,
di luci psichedeliche e sonorità infiammate,
per illuminare i miei respiri conclusivi;
no, non erano questi
gli accordi che presi
con l'indomabile soldato delle mie debolezze
riscoprire volevo
di dimenticare di vivere nel vivere,
ma non sperimentare
l'attuarsi improvviso del mio morire.
Domani
solo squallide poltroncine,
odoranti di alcoolici a profusione,
e di disimpegnati baci e scopate,
rubate a una notte senza nome
come migliaia di altre;
solo la musica,
forse,
si fermerà dinanzi al gesso
del mio corpo disegnato
e ormai dato in pasto a un'impersonale autopsia,
per lasciare un bacio ricolmo di fiori;
poi la discoteca tornerà a sfavillare,
pavoneggiandosi indifferente e senza pensieri,
davanti alla pelle sorda
di uno spettatore chiamato mare.