Ora. Alte mura e occhi spettrali
s'incendiano nella notte.
Un nastro d'acciaio
ha ferito la terra
e si insinua nel bosco di robinie,
hanno tagliato il nostro albero
spaccando i ricordi.
Non più uccelli dai carillon sonori
e arpe d'aria,
arrivano solo monotoni e stridenti suoni
di motori.
Salgono dai mille camini
fumi nerastri
fino a coprire il nostro sole.
Il vento, senza aspettare l'autunno,
porta nel suo gioco stanche foglie
staccate da alberi feriti.
Le polle sorgive
non lambiscono più i riarsi prati.
Allora. Cespugli di rose
al suono di calabroni ronzanti
cantavano nel sole.
Il vento lasciava scie biancastre
nel cielo così azzurro
che faceva male al cuore
e, ad ogni soffio
accarezzava vesti e malleoli di bimbi in fiore.
Sotto la siepe di forsizie
che porgeva rami d'oro a Febo
raccoglievamo le prime viole.