Ansima il pennello,
mentre la matita sorseggia
sovrana e irraggiungibile,
missione di dea
in un corpo esile di lapis
inferocito dalla sfida dell'inesprimibile;
disegnare, amico,
è violare la paura ancestrale della natura,
di scoprire il suo amore negato,
per il lasciarsi comprimere,
reinventare,
rapire un gorgoglio di voce spaesata,
dalla lirica osannante dei colori.
E ora siamo ancora soli,
incomprimibile, inviolata tela,
tu e io,
come due amanti
che amano l'idea
di perdersi per ritrovarsi
e amarsi senza concedersi
di lasciarsi desiderare fino in fondo;
per non perdere la scia d'avorio,
che sola conduce alle labbra
cui fu data la missione
di raccontare veramente il mondo.
Eccomi,
sono anonimo pittore,
madido di spazi vergini,
cui dare identità di reali spazi,
la mia tavolozza odora,
di estasi cromatiche,
lucide come daghe bronzee,
salire vorrei
con le gambe malferme
della mia creatività primitiva,
a dorso della montagna,
che comandò al sole di tramortirmi,
perchè potessi ritrarlo veramente,
o avere uno scalpitante manto erboso
di alpeggio fresco e ristoratore,
su cui salire
come una tenera slitta
perchè diventi mio per sempre
l'afrodisiaco brivido
di saper scalare
tridimensionalità attraenti e sfuggenti.
Tutto coglierete di me,
nelle nature morte che si compiacciono
di provocare il vostro vedere che non vede,
o in un ritratto che vi ha già compreso,
perchè la tela sa rapirvi l'anima,
prima che possiate accorgervi,
del fantasma dello scopo del vivere.