Fulmina i nembi
di una creatività barbara
che attende sbuffante
come cera che mendica una forma,
di cullarsi in una spazialità,
categorica, simmetrica,
mai più ondeggiante;
i sorsi di colori
cui si abbevera l'intimidito pennello,
giocano il loro desiderio di intarsiarsi
con capricci di sonorità microcosmiche
cui un pianoforte concede
di innamorarsi di un'aria alleata,
per farsi viaggi e carrozze.
Attendono su una panchina
che il tempo non ha saputo schiaffeggiare,
ruscelli di parole
dai capelli bianchi e dal cuore mai sazio,
sì, attendono,
che il bacio di una nota,
o le labbra protese di una tela,
le possa incarcerare;
è la traiettoria pungente di un fulmine,
questo connubio sinestesico
che furoreggia lavico,
sui silenzi dell'inespresso.
L'arte si erge a sacerdotessa
spartana ma orgogliosa
della liturgia di scintillante abbraccio
delle tre muse sopraffine.