Perdonateci, delicati sogni
ebbri di quell'ineffabilità
che carezza sovrana i nostri anni verdi,
se vi raggiungemmo
in un ventaglio di cielo lacrimante,
prima ancora di riuscire a conoscervi;
eravamo vite
che si stavano inventando
forse ignare di inventarsi
quando la voce affilata dal sangue
di quei carnefici vorticanti
in danza traboccante di codardia
dissero ai nostri respiri acerbi,
di ritornare nel pozzo buio dell'inespresso;
l'indipendenza dell'Ossezia,
baratto assassino,
contro il disegno di colori tenui,
della nostra sfida di esserci,
il martello deformante dell'ideologia
contro il fiume di latte timido e delicato,
del dipanarsi del nostro futuro.
Beslan
spalanca con il tuo sguardo
che quel giorno si scorse
impotente e dilaniato,
le nostre innocenti e fragili tombe,
vedrai le nostre mani che dormono
protese a donarti l'amore che meriti;
non lo udiremo,
lo udrai tu per noi,
e sarà questo, questo soltanto,
il richiamo del nostro respiro umiliato,
che svergogna ogni guerra.