Seduto in questo parco, vicino alla stazione,
guardo la strada dopo la siepe d'oleandro.
Dovrebbe giungere il treno per portarmi via,
ma tanti ne sono partiti. Questo silenzio mi accoglie
e mi coltiva, ma aspetto qualcuno che raccolga
i miei pezzi sparsi. Navigherò oltre i miei confini,
dove il cuore resta e dove l'età mi strugge
nell'eco degli anni, sorvolandomi da quello
che in esso si cela. Il tempo andato non ritorna,
e non posso aspettare per cogliere in seno
un barlume di coscienza. Devo credere
in quello che mi circonda, sapendo di essere estraneo,
ma non ho posti, oltre a questo,
dove posso prestare fede in me stesso.
Le ore mi sfuggono, non riuscirò mai
a prendere il mio treno. Nessuno mi guarda
e nessuno controlla la mia pace.
Il treno non si è fermato, penso che resterò
in quest'armonia sublime ancora per un poco.
Questa panchina fredda congela il mio istinto
e fa scendere tanta quiete in questo spirito
informe e travagliato che questo silenzio
mi si frantuma contro. Avevo il mio pensiero
e non sapevo come potevo averlo.
Poi ho sentito le mie ombre avvicinarsi.