Ho perso il conto dei giorni persi,
delle occasioni fuggite via con ali di bronzo,
in un passo lento e arrancato
lì per essere afferrate
ed io troppo stanco per allungare le mani.
Di tutta la terra calpestata restano le orme su altre orme
come la ripetizione d'una filastrocca senza rima e senza senso,
fugace logica di un'esistenza misera.
Ho visto tanti spiragli di luce,
ma la flebile voce del vento
-eco che precede la tempesta-
mi impediva di squarciare il velo dell'immobilità.
Senza moto, mi nutrivo d'inerzia della vita
e ho finito per adagiarmi al suolo, in una culla
di foglie morte e radici secche
senza voce,
gridando le viscere inermi.
Che delle ali di Icaro dovrei munirmi
e volare via, via verso il Sole,
e morire bruciando,
illuminando il mondo della mia ombra
perchè ciò sono diventato,
flebile soffio d'una brezza inesistente.