In quel mattino il cielo d'un azzurro terso
fresca poi alitava la salmastra brezza
sfiorava il viso dolce sentivi la carezza
solo silenzio muto del gabbiano il verso
il sole non più nascosto alla vista con sfumati
chiari luminosi raggi dato aveva il segno
della salita dal dio Nettuno il profondo regno
con timidezza sfiorai quei seni vellutati
fuggì di corsa le dorate chiome al vento
sollevate il sol nascente disturbava la vista
svanita in lontananza cominciò il tormento
spezzato con un gesto il mio inopportuno
il nascer di un idillio al sorgere del sole
invano la chiamai non c'era più nessuno.