Sei facce il destino
mi ha concesso
donandomi in mano
il dado della vita,
ed io
da perfetta creatura
d'umana imperfetta fattura
l'ho lanciato per aria
con un brivido,
con un sorriso maligno
e l'ho infilzata!
Ho rigirato per bene
il bianco coltello
nella sua ferita.
L'ho sentita gemere
di terrore,
l'esistenza mia,
quando quel dado
si è fermato
mostrandole il suo
cadaverico volto.
E tutto vorticò
lasciandomi immerso in una
nauseabonda sensazione
di morte.
Ero un altro,
un altro stolto come prima
perché,
vuoi perché uomo,
vuoi perché spinto dalla curiosità
invidiosa dell'altro,
ho lanciato nuovamente il dado,
e ancora,
e ancora e ancora,
lasciandomi alle spalle,
ad ogni lancio,
il copro freddo di un esistenza
mai vissuta a pieno,
un corpo mai
esistito davvero.
E non ero contento mai,
ma le vecchie filatrici
gioivano e mi incitavano
a continuare il mio pericoloso
gioco,
fino a quando
anche l'ultima faccia sparì dal dado.
Solo allora mi resi conto
della mia incredibile
natura troppo umana
e senza nemmeno il diritto di chieder perdono
caddi inerte al suolo
accanto agli scheletri
consumati delle mie vite passate.
Quel dado mi fissava
da lontano
e nella testa ancora le parole
di un destino infame:
"Queste sei facce sono le tue sei lame".